Festival di Roma 2013
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Eli Roth: “Green Inferno? Un’impresa da pazzi”

Il regista porta a Roma il suo cannibal movie e attacca i malati di Twitter

Eli Roth

12.11.2013 - Autore: Marco Triolo
“Come molti sanno amo il genere italiano, sono cresciuto con i film di Dario Argento, Lucio Fulci, Sergio Martino, Mario e Lamberto Bava. Loro sono stati la mia prima introduzione al cinema italiano”. Eli Roth è un ragazzone americano aperto e sincero, che da sempre denuncia le sue influenze nei film che fa e nelle interviste. La sua sortita al Festival di Roma per presentare il suo ultimo lavoro, l’omaggio ai cannibal movie italiani The Green Inferno, non è stato da meno. “Il mio primo cannibal movie fu Cannibal Ferox, solo dopo vidi Cannibal Holocaust. Li adoravo: ti facevano credere che i registi fossero in galera per aver ucciso davvero della gente!”.

Leggete la nostra recensione di The Green Inferno.
 
La sua ammirazione trascende la semplice qualità dei film: “Quando li vedi, capisci che sono stati davvero girati nella giungla. Del mio mentore Quentin Tarantino amo il fatto che dirige di persona, a differenza di tanti registi americani di oggi che dirigono dal monitor nella roulotte, invecchiano diventando grassi e pigri e finiscono col non voler nemmeno uscire a parlare con gli attori sul set”. Lui e la sua troupe, esattamente come Ruggero Deodato, autore di Cannibal Holocaust, si sono recati nella giungla per girare The Green Inferno: “Volevamo portare a termine un’impresa folle!”. In particolare, la loro meta è stata un paesino del Perù, i cui abitanti non avevano mai visto la televisione e neppure il cinema. “Abbiamo radunato tutto il villaggio e proiettato Cannibal Holocaust. Subito dopo hanno firmato tutti per apparire nel nostro film”.
 
Il vero tema di The Green Inferno, al di là del voyeurismo gore tipico delle precedenti pellicole di Roth, come Hostel e il suo sequel, è un attacco a quello che definisce “slacktivism”, traducibile come “attivismo pigro”. “Vedo questi ragazzi che diventano attivisti solo perché è cool e possono rimorchiare. Usano Twitter per far vedere di essere interessati a un tema sociale e poi tornano alla loro vita. È l’attivismo più pigro al mondo, perché non fai altro che schiacciare un bottone”. Così, come George Romero prendeva la parte dei suoi zombi, Roth non vuole puntare il dito contro le efferatezze dei suoi indigeni cannibali: “Intendevo mostrare uno scontro tra culture: questi ragazzi arrivano pensando di aiutare, ma non si rendono conto che le tribù non vogliono essere aiutate e li vedono come invasori”. 
 
Roth non dimentica di pagare pegno al maestro Deodato: “Ruggero è stato assistente di Roberto Rossellini e Sergio Corbucci. Da uno ha imparato il realismo, dall’altro la violenza, e poi li ha combinati. Ecco perché Cannibal Holocaust è così potente. All’epoca quei film erano considerati la forma più greve di horror, ma oggi, in America, si vedono sempre più ragazzi con le magliette di Cannibal Holocaust e le proiezioni che a volte organizzo sono sempre sold out, e popolate da giovanissimi”. Con Deodato, Roth è stato ieri a cena: pare che l’ascia di guerra, sollevata dal regista italiano che accusava il collega di avergli copiato il film, sia stata abbassata.

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