Festival di Roma 2013
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Tsui Hark presenta lo Sherlock Holmes d’Oriente in 3D

Intrattiene ma sa di già visto il blockbuster Young Detective Dee

Young Detective Dee: Rise of the Sea Dragon 3D

16.11.2013 - Autore: Marco Triolo
Lo Sherlock Holmes d’Oriente ritorna in una seconda avventura cinematografica, ancora per la regia di Tsui Hark ma senza Andy Lau nel ruolo principale. Young Detective Dee: Rise of the Sea Dragon 3D è infatti il prequel di Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma, e racconta la prima avventura del detective della Cina imperiale Di Renjie, figura ispirata in parte a un personaggio storico, in parte ai libri di Robert van Gulik.

 
Hark stavolta sceglie di addentrarsi in maniera esplicita nel territorio generalmente marcato dai blockbuster americani: set enormi e costosi, computer graphic di altissima qualità, sound design roboante e 3D di ultima generazione. A ciò ovviamente aggiunge le coreografie wire-work, tipiche dei kolossal di cappa e spada cinese, e una scioltezza che non ha pari in Occidente nel fondere elementi surreali (ma non “sovrannaturali” in senso stretto) a una trama da detective story. Ciò che colpisce delle storie orientali, spesso, è infatti questa capacità di non attenersi a modelli che Hollywood al contrario tende a osservare con rispetto quasi sacro. Così, mentre in America l’intrusione di un elemento fantasy in un’ambientazione realistica deve essere sempre giustificato e, solitamente, catalizza poi l’attenzione cambiando il tono di un film, i cinesi si sentono molto più a proprio agio con il fantastico e il mistico. Il Settimo Secolo diventa così un pretesto per creare un universo distante in cui infilare ogni genere di creature mostruose, sempre giustificate da una pseudo-scienza piuttosto che dalla magia in senso americano. Così, un drago marino ha fattezze molto famigliari, una volta rivelato, e un uomo anfibio dai tratti mostruosi è in realtà vittima di un parassita molto raro. 
 
Ce lo spiega proprio Tsui Hark in conferenza: “Quando abbiamo iniziato a pensare a Detective Dee circa cinque anni fa, abbiamo deciso di creare una nuova direzione per le detective story. Volevamo raccontare sia la figura storica di Di Renjie, sia il personaggio letterario, combinando il tutto con elementi fantastici inaspettati”. “Di solito il canone del genere impone che un film inizi in maniera scioccante e poi, alla fine, si spieghi al pubblico che in realtà era tutta un’illusione – continua – Noi invece crediamo che se il drago non fosse esistito, non avremmo avuto una storia da raccontare”.

 
La ricerca della spettacolarità passa anche attraverso l’uso del 3D, formato nativo del film: “Il 3D è una tecnologia che mi intriga sin da bambino. Non è una novità, ma solo negli ultimi anni siamo arrivati a un livello tecnologico tale da consentire una visione confortevole per il pubblico. All’apparenza, i film in 3D possono sembrare molto simili a quelli in 2D. In realtà, lavorandoci ho capito che sono molto diversi, specialmente nella fotografia, perché bisogna avere molta attenzione al campo visivo del pubblico, e nel montaggio, perché servono delle transizioni più lunghe (circa 1,5/2 secondi) da una scena a un’altra per permettere all’occhio di abituarsi ai diversi livelli del 3D”.
 
Il film intrattiene con dignità, anche se infine risulta un po’ troppo simile a tanti altri usciti dal mercato cinese negli ultimi dieci o quindici anni. La ricostruzione storica, le battaglie con i cavi, i set, i costumi, i suoni: è tutto indubbiamente curatissimo, fino a livelli maniacali, ma è anche identico a decine di altri film di cappa e spada cinesi, un filone che sta diventando pericolosamente manierista. In ogni caso, il regista ha già annunciato un terzo capitolo della saga, che continuerà con questa formula. Resta da chiedersi se Andy Lau tornerà: c’è da sperarci, perché la sua mancanza stavolta si sente.

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