Festival del cinema noir 2013
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L'ntervista: Wakolda e l'umanità di Mengele

Il nostro incontro con il protagonista Alex Brendemühl

Wakolda

12.12.2013 - Autore: Marco Triolo
Il fascino del male non muore mai, non a caso è al centro di moltissimi film. E quando si parla di male, niente lo rappresenta in maniera altrettanto pura e, per questo, spaventosa come i nazisti. Da sempre eletti a cattivi per eccellenza del cinema, in rarissimi casi visti come esseri umani, i discepoli di Hitler hanno popolato l'immaginario non solo nei film dedicati alla Seconda Guerra Mondiale, ma anche in quelli sulle conseguenze del conflitto. Vengono in mente I ragazzi venuti dal Brasile, oppure Music Box di Costa-Gavras. In questa tradizione rientra Wakolda, film di Lucia Puenzo presentato in concorso al Courmayeur Noir in Festival (qui la nostra recensione). Ne abbiamo parlato con il protagonista, l'attore spagnolo (di origini tedesche) Alex Brendemühl, che nel film interpreta un insospettabile dottor Mengele e ci ha confessato: “Mio nonno era con i nazisti e ho dovuto addentrarmi profondamente nella storia per capire i pensieri e le idee dei miei antenati”.

“Mio padre è tedesco e ho studiato in una scuola tedesca a Barcellona: durante le lezioni di storia ci chiedevamo sempre 'Dobbiamo sentirci in colpa per quello che hanno fatto i nostri nonni in guerra?'. Nel caso del mio personaggio, ho dovuto seguire il processo inverso, perché Mengele non si sentiva affatto in colpa ed era convinto di essere dalla parte del giusto, di essere quello che avrebbe salvato il mondo dall'impurità razziale”. La soluzione, per un attore che si trovi davanti un compito così ingrato, è quella di trovare il lato positivo anche in un essere così malvagio: “Ho cercato di vederlo come un uomo solitario che viaggia in un paese straniero e vastissimo, alla ricerca di nuove amicizie e di un posto dove portare avanti il suo lavoro, la passione di una vita. Ecco cosa ho trovato in lui: la passione per quello che faceva. Era l'unico modo per difenderlo”. Difenderlo? “Non credo sia necessario amare un personaggio che si interpreta, quanto difenderlo e capirlo profondamente. Quando ho accettato la parte ho detto a Lucia: 'Non entrerò nel personaggio fino a un mese prima delle riprese'. Se avessi pensato a Mengele per un anno intero, credo che sarei impazzito”.

Al centro del film c'è il rapporto, spesso ambiguo e quasi morboso, tra Mengele e la giovanissima Lilith (Florencia Bado). Un'amicizia che sfocia in una specie di love story politicamente scorretta: “Quando ho incontrato Florencia è scattato subito un legame. Lei è molto curiosa, ha un modo innocente di agire e guardare il mondo. Sul set abbiamo cercato di guardare alle nostre scene con umorismo, perché toccavamo argomenti molto delicati: nello sguardo di quest'uomo c'è sicuramente qualcosa di ambiguo, è geloso di Lilith quando assiste al suo primo bacio con un coetaneo. Ma mi piaceva che contemporaneamente ci fosse lo sguardo scientifico e analitico del dottore e quello personale, da padre o forse amante”.

Un altro tema è quello dell'appoggio che nazioni come l'Argentina hanno dato a criminali di guerra che “non hanno mai pagato per quello che hanno fatto, ma sono stati capaci di portare avanti la loro ideologia e i loro studi”: “Questo è il motivo per cui il film ha scatenato grandi polemiche in Argentina. Molti Paesi del Sud e del Nord America hanno dato il benvenuto ai rifugiati nazisti, hanno accettato i loro soldi e sfruttato le loro conoscenze. Ad esempio, Mengele era un esperto nello studio degli ormoni e grazie a lui hanno imparato nuovi metodi per allevare il bestiame. Sono temi che fino a poco tempo fa erano dei tabù in letteratura e al cinema”.

Il film ha da poco incassato ben dieci Sur Awards (tra cui il miglior attore), i premi argentini del cinema, e si prepara a rappresentare il suo Paese nella corsa agli Oscar. “È stato preselezionato e spero che rientri nella cinquina, per noi sarebbe una grande cosa. Non bisogna dimenticare che quella del cinema è un'industria, e queste cose possono cambiare il futuro di un film o di un regista. Personalmente, non amo molto gli Oscar perché non credo che premino sempre i film o gli attori migliori. Hollywood ha imposto i propri criteri sugli altri, e questo non è sempre bene per le industrie più piccole. Ma esserci è importante”.

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