Festival del cinema noir 2013
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Intervista: Henning Mankell, la politica e Kurt Wallander

Incontro con l'autore più amato della Svezia al Courmayeur Noir

Wallander - Kenneth Branagh

14.12.2013 - Autore: Marco Triolo, da Courmayeur
"Ricordo che era il 19 maggio 1989, prima della caduta del muro di Berlino. Vivevo nel sud della Svezia, era una bella giornata e mi feci una passeggiata. Al ritorno avevo creato Wallander. Volevo parlare della xenofobia in Svezia e capii che avevo bisogno di un poliziotto. A casa, presi l'elenco del telefono e cercai un cognome. Wallander mi piaceva, non era tanto diffuso, era facile da ricordare e molto svedese. Ma, visto che era lungo, pensai che mi serviva un nome breve e scelsi Kurt".

A parlare è Henning Mankell, uno degli scrittori di maggior successo al mondo, creatore del fortunato Ispettore Wallander, protagonista di una lunga serie di romanzi conclusa da pochi anni con Un uomo inquieto. Dalle sue opere sono state tratte svariate serie TV tra Svezia e Gran Bretagna (dove è celebre l'incarnazione interpretata da Kenneth Branagh). Mankell vive a metà tra la sua Svezia e il Mozambico, dove è direttore artistico del Teatro Avenida a Maputo, la capitale. Un uomo dai forti ideali, strenuo oppositore di ogni forma di razzismo, sempre in contatto con i grandi cambiamenti sociali e culturali dei nostri tempi. Lo abbiamo incontrato al Courmayeur Noir in Festival, dove ha ricevuto il Premio Raymond Chandler.

Si può dire che, quando un autore crea un personaggio popolare come Wallander, esso diventi proprietà di tutti. Qual è stata la reazione dei lettori quando lei ha deciso di non scrivere più storie di Wallander. Le hanno scritto chiedendone di nuove?
Sì, ho ricevuto tantissime lettere in cui mi si diceva "Per favore, continua". Uno mi anche ha minacciato, ovviamente per scherzo: "Se non lo fai, ti succederà qualcosa di brutto". A me Wallander non mancherà, ma sono felice di sapere che ai lettori manca molto, credo che sia stupendo che alla gente possa mancare un personaggio letterario. Ho anche ricevuto molte lettere che accettano il mio finale. Come sapete, Wallander si accorge di avere i primi sintomi dell'Alzheimer. Delle sette persone che ci sono qui, due lo prenderanno. è una cosa che ci fa molta paura e, mano a mano che la vita media si allunga, sarà sempre più un problema. Mi piaceva che la serie finisse così, per ricordare ancora una volta che Wallander è una persona come tutti.

L'immagine che lei ha di Wallander è cambiata dopo che ha visto le serie TV tratte dai suoi lavori? è famoso, ad esempio, il caso di Ian Fleming che cambiò le origini di Bond dopo aver visto l'interpretazione che ne dava Sean Connery...
Anche John le Carré disse che avrebbe avuto problemi a scrivere altre storie di George Smiley dopo che Alec Guinness lo aveva interpretato così bene nella serie. Io non ho mai avuto di questi problemi, perché lavoro anche a teatro e nel cinema. Perciò no, quello che fanno Branagh e gli attori che lo interpretano in Svezia non ha cambiato la mia l'opinione su Wallander. Potrei essere stato ispirato, forse, ma non c'è stato nessun cambiamento fondamentale.

Di solito le chiedono quali somiglianze ci siano tra lei e Wallander. Ma cosa invece è completamente diverso?
Quasi tutto: in comune abbiamo solo l'amore per l'opera italiana, il fatto che lavoriamo molto e che siamo coetanei. Io sono una persona con ideali più forti dei suoi, ma lui col passare del tempo è diventato sempre più radicale. Ed è una cosa interessante, perché spesso si dice che più uno invecchia più diventa conservatore, ma per me non è così: sono tanto radicale quanto lo ero da giovane e conosco diverse persone che lo sono diventate sempre di più invecchiando. Volevo che lui fosse un esempio di questo, un uomo che ha una visione politica migliore a sessant'anni che a trenta.



Lei in passato è stato un noto oppositore dell'Apartheid in Sudafrica. Cosa ne pensa della morte di Mandela e quali conseguenze avrà?
Credo che, per capire importanza di una persona, sia necessario chiedersi chi lo ricorderà tra duecento anni. Mandela mi ricorda Gandhi, entrambi hanno proposto qualcosa di nuovo. Gandhi parlava di non-violenza, Mandela uscì dopo ventisette anni di carcere esortando il suo popolo a lasciare la vendetta da parte. Penso che tra duecento anni Mandela sarà ricordato, anche se non bisogna santificarlo, dopo tutto era un uomo, con i suoi difetti. è indubbio, comunque, che oggi molti in Sudafrica siano preoccupati perché, nonostante si fosse ritirato da tempo, Mandela era comunque una garanzia di pace. Durante il suo funerale, la gente fischiava il presidente Zuma, e questo non è un buon segno.

Di recente ha scritto una serie TV sulla vita di Ingmar Bergman. A che punto è quel progetto? E qual è la sua opinione su Bergman?
La serie è scritta, ma penso che abbiano in mente di mandarla in onda nel 2018, il centenario della sua nascita. La mia opinione su Bergman è che ha pagato un prezzo molto alto, perché considerava l'arte più importante di tutto il resto. Quindi anche la sua famiglia ha pagato lo stesso prezzo. Come sapete sono sposato con una delle figlie di Bergman, Eva, e quando ho scritto la sceneggiatura ho detto alla rete TV che mia moglie avrebbe dovuto leggerla, e che se non l'avesse trovata appropriata avremmo dovuto cancellare. Dopo averla letta, è venuta da me e mi ha detto che forse, da quel momento, sarebbe stato più facile per lei perdonare il padre.

Qual era la sua relazione con lui?
Eravamo buoni amici, negli ultimi anni della sua vita io ero una delle due persone più vicine a lui. Viveva in una piccola isola, aveva un cinema privato e lì ho visto un centinaio di film con lui. Lui guardava di tutto, film vecchi e nuovi. Parlavamo ovviamente di cinema, teatro, libri, ma soprattutto parlavamo di musica. Eravamo entrambi dell'opinione che la musica sia alla base di tutto: se inizi a leggere un libro e lo lasci è perché probabilmente non ha una sua musicalità, e questo vale anche per un dipinto o un film.

Lei ha detto di non aver bisogno del posto perfetto per scrivere. Ma qual è il posto più assurdo dove ha scritto?
Il posto più strano... Ero molto giovane, mi ero trasferito a Stoccolma, ma non avevo posto dove stare. Un mio amico aveva le chiavi di un appartamento vuoto, e intendo proprio vuoto, non c'erano nemmeno le lampade. Se aprivi il forno, però, c'era una luce dentro e così presi l'abitudine di sedermi sul pavimento e usare il portello del forno come tavolo. In quelle condizioni ho scritto metà di una pièce teatrale, e ancora ricordo che mi dissi: "Se posso scrivere qui, allora sarò in grado di lavorare ovunque".

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