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Sully - La nostra recensione

Un grande Tom Hanks per il 'Miracolo sull'Hudson' presentato da Clint Eastwood al Festival di Torino 2016

29.11.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nxta)
"Abbiamo fatto il nostro lavoro". Lo ripetono come un mantra. Se lo ripetono, l'uno all'altro, Chesley Sullenberger e Jeffrey Zaslow, i due eroi qualunque del Sully di Clint Eastwood presentato al Torino Film Festival, dopo il passaggio a quelli di Telluride e New York a settembre. I due sono i piloti del volo US Airways 1549 del 15 gennaio 2009 protagonista di un impossibile atterraggio d'emergenza sul fiume Hudson, a due passi dall'Empire State Building e della Freedom Tower di New York.

I due, soprattutto, sono Tom Hanks e Aaron Eckhart, splendidi nelle loro interpretazioni e nel sostenere il peso della gratitudine di una città da sempre anelante storie esemplari e uomini straordinari. Diffidate da chi potesse sprecare l'aggettivo "retorico" per descrivere l'emozione che intride ogni tessera del mosaico assemblato dal regista di Gran Torino e American Sniper. Un crescendo centripeto, nel quale l'evento scatenante è 'solo' un innesco.



In primis narrativamente, per la tormentata indagine della NTSB (National Transportation Safety Board) costretta dalle procedure a verificare le responsabilità dell'accaduto, con un carico di stress per l'autore del 'Miracolo sull'Hudson' (questo anche il titolo del suo libro di memorie, su cui il film è basato). Ed emotivamente, per il graduale sovrapporsi delle tante voci 'secondarie' - di cittadini, colleghi, passeggeri increduli e riconoscenti - talmente forti da comporre un coro e da sovrastare qualsiasi tentativo di affrontare razionalmente la visione.

Un coro che Eastwood gestisce da vero Maestro, ruotando a 360° intorno ai suoi protagonisti, alle storie delle 155 persone salvate, delle migliaia di newyorkesi bisognosi di un lieto fine, "soprattutto con un aereo" coinvolto. Senza perdere un momento, un'espressione, uno sguardo. Regalandoci sequenze indimenticabili, come quella di apertura - con un sincronismo intrigante già dai titoli - o degli incubi a occhi aperti di Sully, da togliere il fiato non tanto per gli effetti speciali quanto per l'empatia naturale nei confronti dell'allora cinquantanovenne aviatore, esperto in sicurezza.



È l'abitudine a "far volare l'aereo", come imparato agli inizi, ma è anche la passione per il vecchio Clint a insistere sulla non eccezionalità di certi eroi. Disincantati e se stessi, nell'esaltazione e sotto accusa. Costretti dalla coscienza a esigere sempre di più da sé e a mettersi in discussione. Ad affidarsi alle proprie certezze, spesso familiari, nel senso più ampio possibile. E non è un disonore trovarsi tutti a tifare per il fallimento di una simulazione, a ridere nervosamente delle battute nascoste nella tensione (la migliore: quella conclusiva del troppo defilato Zaslow) o a commuoversi per l'arrivo della cavalleria: i 1200 partecipanti al salvataggio, tra i 7 ferry, gli elicotteri e i vari corpi della città di New York ai quali Clint, Sully e Tom regalano la chiusura di un film importante, bellissimo, tra i migliori dei due miti a stelle e strisce.

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