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Electric Dreams, la recensione della serie ispirata a Philip K. Dick

Un'ambiziosa e spettacolare serie di fantascienza che non avrebbe potuto esistere se non fosse stato per Black Mirror

Electric Dreams

11.01.2018 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Il successo di Black Mirror, specialmente da quando è passato allo streaming di Netflix, ha creato nuovo interesse intorno alle serie antologiche, e ora Prime è pronta a dare battaglia con Electric Dreams, una serie di dieci episodi ispirati a racconti del geniale Philip K. Dick (raccolti da Fanucci in un libro omonimo uscito in questi giorni in Italia), che arriverà sulla piattaforma di Amazon dal 12 gennaio. Il modello, evidentissimo oltre che nel formato antologico, è proprio Black Mirror: anche qui c'è un filo conduttore che tiene insieme storie slegate, anche qui ci sono riflessioni sul futuro dell'umanità, la tecnologia e il suo impatto sulle nostre vite. Ma ovviamente in Electric Dreams si dà più spazio alle ossessioni del creatore di Blade Runner. Domande come “Cosa rende umani?”, “Che cos'è la realtà?” e la paranoia, il timore verso l'autorità centrale che schiaccia l'uomo declinato spesso in visioni distopiche del futuro.


IL TRAILER DI ELECTRIC DREAMS.
 
C'è tutto questo nei dieci episodi della prima stagione, interpretati da un cast variopinto che include Bryan Cranston (anche produttore esecutivo), Steve Buscemi, Juno Temple, Geraldine Chaplin, Richard Madden, Timothy Spall, Greg Kinnear, Jack Reynor e Liam Cunningham. Storie molto diverse tra loro, almeno a livello di plot, ambientazione e messa in scena: passiamo da un presente all'apparenza normale in cui si infiltrano elementi surreali e fantascientifici, al futuro vicino dipendente dalla tecnologia alla Black Mirror, fino ad arrivare a futuri lontani, altri pianeti e forme di vita. In realtà, dietro a ciascuna di esse c'è sempre una visione tetra e tendenzialmente disperata del futuro (con qualche eccezione). Tutti gli errori che l'umanità sta commettendo ora non verranno corretti, sembra dirci la serie, anzi. Si amplificheranno e porteranno a conseguenze catastrofiche.


LE SERIE PIU' ATTESE DEL 2018.
 
Tra i punti più alti della stagione, in termini di resa della messa in scena, troviamo il primo e il secondo episodio, “The Hood Maker” (una specie di Blade Runner con i telepati al posto dei replicanti) e “Impossible Planet” (dove una donna anziana chiede di tornare sulla Terra ormai invivibile). “The Commuter” con Timothy Spall è quello più surreale e metaforico, ma si conclude in maniera fin troppo frettolosa, mentre “Crazy Diamond” con Steve Buscemi (scritto da Tony Grisoni, collaboratore fisso di Terry Gilliam) è concettualmente interessante, visivamente ben costruito ma mette un po' troppa carne al fuoco nel parlare del tracollo delle risorse e dei cambiamenti climatici. Notevoli anche gli episodi 5 e 6, “Real Life”, con Anna Paquin che vive una doppia vita grazie alla realtà virtuale – fino a uno scambio molto dickiano in cui non si sa più quale sia la realtà e quale la simulazione – e “Human Is”, in cui Bryan Cranston è un militare sulla terra del 2520, alle prese con un'atmosfera ormai irrespirabile. Dovrà salpare per un altro pianeta per rubare una risorsa necessaria a una specie aliena, ma tornerà indietro portando “qualcosa” con sé. Il punto più basso della serie è invece, probabilmente, l'episodio finale, “Father Thing”, ennesima variazione sul tema degli Ultracorpi che però non riesce a rinnovare i cliché di questo tipo di storie, risultando prevedibile e noioso.

 
In generale si nota come Sony abbia elargito risorse senza badare troppo a spese. La serie è ambiziosa, sia nei contenuti che nella messa in scena. Gli effetti speciali e i set sono sempre all'altezza della situazione e in certi frangenti, come ad esempio in “The Hood Maker”, pare davvero di trovarsi di fronte a un film condensato in un'ora per la televisione. E forse questo è anche il difetto della serie: per rispettare la durata, a volte le storie vengono condensate troppo, contano molto più sull'iperbole metaforica (cosa tipicamente britannica, come è la produzione, nonostante Dick fosse americano) che sulla costruzione di un mondo futuro coerente e credibile indipendentemente dalla lettura allegorica. Finendo per farci sperare, a volte, in un director's cut più lungo che approfondisca meglio aspetti lasciati un po' cadere nel vuoto.

 
Ma in linea di massima Philip K. Dick's Electric Dreams è un rarissimo caso di adattamento davvero fedele della poetica di Dick, che al cinema è stata spesso rielaborata in storie affascinanti ma declinate più all'azione. Se avete amato A Scanner Darkly e Blade Runner più di Atto di forza, insomma, Electric Dreams è la serie che fa per voi.