

A Letter to Elia
Vedere On the Waterfront e East of Eden da giovane è stata per Martin Scorsese, cresciuto a Little Italy, un'esperienza che gli ha cambiato la vita. Scorsese, che vediamo o ascoltiamo durante tutto il film, ripercorre la vita di Kazan, nonché la propria, nel segno di quella crescente presa di coscienza che dovrebbe avere un artista dietro la cinepresa. Costituito da spezzoni, fotografie, letture dall'autobiografia di Kazan e dal suo discorso sulla regia, da un'intervista su videocassetta a un Kazan già anziano e dal commento di Scorsese davanti alla cinepresa o fuori campo.

“E' quasi impossibile dire quanto profondamente io sia affezionato ai film di Elia Kazan” così Martin Scorsese introduce il suo “A Letter to Elia”,
dichiarazione di amore artistico che il regista italo americano dedica
al greco-americano. Entrambi figli di immigrati - lo stesso Kazan si trasferì negli Usa solo pochi mesi dopo essere nato nel 1909 a
Kayserim, nella Tuchia greca – i due cineasti vissero, seppure in
maniera differente, lo stesso inizio da outsider prima di diventare, a
loro modo, dei mostri sacri del cinema. Nei sessanta minuti di racconto,
Scorsese non traccia una biografia di Kazan, ma ne raccolta la vita
filtrata attraverso le emozioni che i suoi film ebbero sulla sua
formazione da regista. Lo conobbe una prima volta quando, a metà anni '60, assistette ad una sua lezione presso l'Università del cinema di New York.
Lo inseguì per chiedergli di fargli da aiuto regista, ma si presentò
troppo tardi all'appuntamento e non se ne fece niente. “Forse fu meglio
così - racconta Scorsese - sarebbe stato difficile lavorare con qualcuno
a cui avrei continuamente chiesto consigli e spiegazioni”. La visione
nel 1955 di “La valle dell'Eden”,
aveva così tanto segnato l'occhio e il cuore di Scorsese – vi ritrovava
lo stesso rapporto conflittuale che aveva con il fratello e con il
padre – che ne inseguì per mesi tutte le proiezioni nei cinema della
città.
Scorsese mostra spezzoni dei film, da “Un tram chiamato desiderio” a “Il ribelle dell'Anatolia”, ma è alla fine su “Fronte del porto” che focalizza l'attenzione della sua lettera. Nella storia dello splendido capolavoro tratto da un soggetto di Budd Schulberg e interpretato da un magnifico Marlon Brando,
si poteva leggere lo stesso desiderio di perdono che Kazan cercava nel
suo ambiente. Tre anni prima, nel 1952, Kazan aveva collaborato con la
commissione McCarty, facendo il nome di undici suoi conoscenti artisti
con idee di sinistra. Buona parte di Hollywood gli si rivoltò
contro e a nulla bastò una lettera di auto giustificazione pubblicata
all'epoca sui giornali.
La stima di Scorsese per Kazan non ne soffrì molto, continuò ad amare
visceralmente i suoi film, e quando si trattò di dimostrarlo, non si
tirò indietro. Nel 1999, alla consegna dell'Oscar alla carriera a Kazan,
l'autore di "Taxi Driver" salì sul palco assieme all'amico Robert De Niro,
e gli porse la statuetta con tanto di abbraccio e accenno di
commozione. Il fatto che parte del resto della platea non si fosse
alzato ad applaudire, in memoria di quanto era accaduto quarantasette
anni prima, non importava: Kazan era un genio del cinema, e in quanto
tale andava ammirato. Guardando “A Letter to Elia”, si ritrova la stessa carica emotiva di quella premiazione, la voce di Scorsese è trascinante tanto che uscendo dalla sala, la prima cosa che viene voglia di fare, è
andarsi a rivedere uno dei film di Kazan, un grande, raccontato da un
grande.