Festiva del Cinema di Venezia 2015
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Il caso Spotlight – La recensione da Venezia

Un cast eccelso e una messa in scena chiara e serrata per un film che è la perfetta unione di intrattenimento e divulgazione

Il caso Spotlight

05.09.2015 - Autore: Marco Triolo (Nexta), da Venezia
Il cinema d’inchiesta americano torna con Il caso Spotlight a una forma che non sfigurerebbe negli anni ’70, epoca in cui il filone era al suo apice. Come Tutti gli uomini del presidente, Spotlight sviscera un famoso caso di cronaca, in particolare quello dei preti pedofili sollevato dal Boston Globe nel 2001, che fruttò al team di giornalisti il Pulitzer nel 2003.
 
Nel film seguiamo il lavoro della squadra di Spotlight, sezione del Globe dedicata al giornalismo investigativo: Michael Keaton, Mark Ruffalo, Rachel McAdams, Brian d’Arcy James, oltre a John Slattery e a Liev Schreiber, nei panni del neo-direttore del Globe. Un ensemble (che include anche Stanley Tucci e Billy Crudup) capace di far tremare i muri, ma in cui i singoli elementi concorrono al quadro d’insieme lavorando come una vera squadra, anziché rubarsi a vicenda la scena. Il risultato è un’opera dotata di straordinario ritmo, sintesi, chiarezza espositiva e perfezione formale: Tom McCarthy, autore di L’ospite inatteso e Mosse vincenti, guida la nave come un capitano esperto e raggiunge l’obbiettivo prefissato, ovvero coinvolgere con le armi a disposizione del cinema, raccontando una storia vera senza fare sconti ma confezionando allo stesso tempo un prodotto che si reggerebbe in piedi anche se dietro non ci fosse uno dei casi giornalistici più famosi del dopo 11 Settembre.
 
Cosa straordinaria, McCarthy riesce anche a non banalizzare il tutto come una crociata contro la Chiesa cattolica. Il punto di vista è quello di un gruppo di persone cresciute nella forte comunità cattolica di Boston, poi allontanatesi dalla Chiesa ma non immuni a domande sulla Fede. Il punto cruciale del film non ha nulla a che vedere con la Fede, ma tutto a che vedere con la giustizia: come si può essere cristiani, buoni o cattivi, osservanti o non osservanti, e tollerare che proprio l’autorità che dovrebbe rappresentare Dio in Terra sia la prima a coprire crimini e violenza per il bene della propria immagine? McCarthy fa di più e, citando ricerche compiute da psicoanalisti, arriva a sottolineare come il problema sia intrinseco all’obbligo di celibato imposto ai preti cattolici, quasi una reazione a una regola che va contro l’istintiva natura umana.
 
Al di là di queste elucubrazioni, Spotlight offre, come detto, grandissimo cinema: non c’è niente di più esaltante che guardare il superbo lavoro di un cast completamente coinvolto in un progetto e a proprio agio con il materiale, così come osservare un regista (e sceneggiatore) mettere in scena un racconto con tanta maestria e sicurezza della propria visione. Alla fine tutto sarà chiaro, ogni singolo legame sarà evidente anche a chi non ha mai seguito il caso direttamente, il che è forse il complimento migliore per un’opera che intende coniugare divulgazione e intrattenimento nel modo migliore, tenendo tutti incollati alla poltrona grazie alla tensione evocata, ma allo stesso tempo facendo riflettere il pubblico a film finito.
 
Peccato solo che Il caso Spotlight, che sarà distribuito in Italia da BIM a novembre, non sia in concorso a Venezia: avrebbe potuto facilmente vincere qualche premio maggiore.

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