Festiva del Cinema di Venezia 2015
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11 Minutes – La recensione da Venezia

Jerzy Skolimowski torna a Venezia con un thriller sulla frenesia della società contemporanea. Ma l’ottimo finale non giustifica un intero film

11 Minutes

09.09.2015 - Autore: Marco Triolo (Nexta), da Venezia
Jerzy Skolimowski racconta la frenesia della moderna Varsavia in 11 Minutes, film con cui torna alla regia e al Festival di Venezia a cinque anni da Essential Killing. Dalla storia di un uomo solo, un estremista islamico in fuga da tutto e tutti nella steppa innevata, a un film corale, ambientato in una metropoli caotica.

L’idea è quella di narrare 11 minuti nella vita di una serie di personaggi che, tramite una serie di scherzi del destino, si troveranno tutti nello stesso posto e nello stesso momento nel finale. C’è un produttore hollywoodiano che accoglie nella sua stanza l’albergo una bellissima attrice polacca con l’intento di farle un provino e, probabilmente, di ottenere una prestazione sessuale. C’è il marito geloso di quest’ultima, che raggiunge l’albergo per confrontarsi con quello che ritiene essere il suo rivale. Ci sono un lavavetri, un corriere della droga, un venditore di hot dog con un passato criminale e un ragazzo che vuole scoprire cosa sia quella cosa strana che lui e altre persone stanno vedendo nel cielo.

Nel film c’è tanta voglia di intrattenere lo spettatore quanto di dire qualcosa sul nostro rapporto con l’immagine cinematografica e le immagini che sempre più, ormai, affollano le nostre vite. Si intravvede una riflessione sul ruolo dei media nelle nostre vite e su quanto, ormai, nulla sia più privato, tutto sia spremuto in un immenso calderone di notizie più o meno sensazionali e tutta la complessità della vita umana sia ridotta a sequele di 0 e 1, che viste abbastanza da distante non sono nulla, non dicono nulla.

Eppure le buone idee sono soffocate da un’esecuzione raffazzonata: sembra che Skolimowski abbia avuto un’ottima idea per un cortometraggio e l’abbia allungata per coprire la durata minima di un film (80 minuti). Il modo in cui il regista prende deliberatamente tempo per far convergere il più lentamente e macchinosamente possibile tutti i personaggi nel punto X in cui dovranno trovarsi per far quadrare il puzzle finale è a tratti maldestro, spesso tedioso. Se fosse durato, come dice il titolo, 11 minuti, magari il film di Skolimowski avrebbe funzionato bene. Così resta solo un involucro vuoto nel quale funziona solo il finale, e che per altro non dice davvero nulla di nuovo o interessante, ma si rivela come un esercizio di stile sterile e fine a se stesso.

Per saperne di più sul Festival di Venezia, seguite il nostro speciale.
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