
Il regista Yann Arthus-Bertrand
Girato in più di sessanta paesi nell'arco di tre anni, Human contiene solo la punta dell'iceberg delle 2.020 persone che Arthus-Bertrand ha intervistato. “Tutto ha avuto inizio negli anni '90 – ci spiega il regista quando lo incontriamo – Stavo girando La terra vista dal cielo e il nostro elicottero si guastò, costringendoci a fermarci due giorni in un villaggio del Mali, presso la famiglia di un agricoltore di sussistenza. Furono due giorni meravigliosi, in cui ci sentimmo come fratelli e lui mi rese partecipe delle sue preoccupazioni riguardo malattie e condizioni climatiche che rischiavano di compromettere il suo raccolto. Ne fui profondamente toccato, al punto che, quando ripresi a girare, cominciai a chiedermi quali storie avrebbero potuto raccontarmi quegli omini che vedevo dall'alto...”.
Prosegue: “L'ispirazione mi è venuta anche vedendo The Tree of Life: Malick ha avuto il coraggio di unire immagini sulla creazione del mondo con una storia molto intima. E poi naturalmente dal primo esempio di cinema ecologista, cioè la trilogia prodotta da Coppola e musicata da Philip Glass [ovvero Koyaanisqatsi, Powaqqatsi e Naqoyqatsi di Godfrey Reggio]. Mi sono detto: se lo può fare Malick lo posso fare anche io!”. Al di là dei precedenti cinematografici, Arthus-Bertrand si ispira all'attualità: “Il nostro mondo sta andando in direzioni imprevedibili, e lo trovo appassionante. L'innovazione tecnologica ci permette di essere tutti quanti connessi, io finanzio un orfanotrofio a Brazzaville, in Congo, e anche lì i bambini sono sempre su Facebook, sanno tutto del mondo esterno. Non c'è da stupirsi, dunque, per questi fenomeni migratori, che sono solo l'inizio di un cambiamento radicale. Non possiamo immaginare il mondo tra dieci anni, tanto i cambiamenti sono repentini”.

Human, oltre che essere proiettato alle Nazioni Unite, sarà distribuito in Francia, patria del regista, in 540 copie. Un record per un documentario di oltre tre ore. “Il film ha superato le nostre aspettative, ma è importante mantenere una certa umiltà. Ora Human non è più nostro, appartiene a tutti, a ciascuno di noi, e spero che possa renderci un po' migliori”.
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