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Visto in anteprima: Gypsy, la recensione della nuova serie Netflix con Naomi Watts

Non convince pienamente il thriller psicologico in arrivo sulla piattaforma streaming dal 30 giugno

21.06.2017 - Autore: Pierpaolo Festa (Nexta)
Chi siamo veramente quando nessuno sta a guardare? E' questa la domanda centrale sulla quale Gypsy, la nuova serie Netflix in arrivo dal 30 giugno, cerca di dare una risposta. E lo fa scegliendo il personaggio giusto, quello di una psicologa dalla doppia vita - una donna con il brutto vizio di ficcare il naso nel privato dei pazienti una volta che quelli sono usciti dal suo studio - e arruolando l'attrice giusta: Naomi Watts. Cosa poteva andare storto?


 
Abbiamo visto in anteprima cinque dei dieci episodi dello show. Cinque ore che sembrano avere una funzione esclusivamente introduttiva della storia: soltanto alla fine del quinto episodio la serie si apre in ritardo a una nuova fase narrativa e inserisce una dose di tensione. Ci mette tanto a decollare Gypsy, ideato, sceneggiato e prodotto dalla giovanissima Lisa Rubin (alla sua prima serie TV), i cui primi due episodi sono diretti da Sam Taylor-Johnson, già regista di Cinquanta sfumature di grigio. Il thriller psicologico viene annacquato da una serie di interminabili sequenze tra la protagonista, il marito interpretato da Billy Crudup, i suoi pazienti e le sue amiche upper class newyorchese. Quello a cui assistiamo è il crollo psicologico di una donna di successo, una persona che sulla carta ha una vita perfetta. Un personaggio troppo gelido per creare un legame con chi sta a guardare.

La premessa dello show punta ad alcune domande interessanti: fin dove seguiremo Naomi Watts? Fin dove i realizzatori ci spingeranno nei meandri dell'animo umano? Quanta follia e quanto controllo servono per avere una doppia vita? E soprattutto: quanto non ci si può fidare del proprio terapeuta? Tutti quesiti legittimi che lo show non affronta in maniera interessante. Questa psicologa - il cui talento professionale è tutto fuorché certo - inizia a frequentare la donna che ha spezzato il cuore a uno dei suoi pazienti. Dal flirt si passa all'attrazione. La tensione sessuale che guida i rapporti umani è al centro di Gypsy, che d'un tratto apre una potenziale parentesi lesbo. Scoprendo la protagonista mentre lei scopre sé stessa, rimaniamo in un limbo di incertezze nel quale il personaggio si trova mentre si lascia andare alla perdita di controllo. Una scelta che fa più in maniera passiva che attiva: cosa che tiene a distanza chi sta a guardare.
 
Gypsy diventa interessante quelle poche volte in cui la macchina si arma di coraggio ed entra nella testa della protagonista. Non succede troppo: in una di queste sequenze la vediamo fantasticare sulle posizioni erotiche dei suoi pazienti. Ed eccitarsi immaginandoli a letto insieme. Dura pochissimo ed è la migliore scena delle cinque ore viste della serie.  


Alla fine però, perfino la Watts (anche produttrice esecutiva) non convince pienamente. Nel seguirla tra le strade di Manhattan perdiamo una dose di interesse ad ogni episodio. Siamo davanti a una delle migliori attrici mainstream - che attualmente ruba la scena a tutti nel nuovo Twin Peaks - qui, però, viene servita da una sceneggiatura che non rende giustizia alle potenzialità dello show. Rimaniamo a guardare, ma ne varrà totalmente la pena? Gypsy è un po' come la versione dell'omonima canzone dei Fleetwood Mac che ascoltiamo nella sigla iniziale: un arrangiamento lento dell'originale e a volte perfino urtante. 

I dieci episodi di Gypsy arriveranno su Netflix dal 30 giugno
 
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