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VIAGGIO A KANDAHAR

Un catalogo di orrori, dolorosamente veri si staglia nel deserto arroventato dell'Afghanistan, uno sterminato altrove dove il tempo sembra aver subìto un corto circuito irreversibile.

viaggio a kandahar

22.10.2001 - Autore: Luca Perotti
Regia: Mohsen Makhmalbaf Con: Niloufar Pazira, Hassan Tantai Distribuzione: BIM   Nafas, una donna afgana da tempo diventata cittadina canadese, torna nel suo paese natìo in seguito al messaggio ricevuto dalla sorella che minaccia di suicidarsi il giorno dellimminente eclisse di sole. Durante il suo impervio itinerario verso la città di Kandahar, osserva e annota sul suo diario di viaggio, un piccolo registratore, lattuale realtà del paese governato dai Talebani. Ricoperta dal burka, lignobile pastrano imposto a tutte le donne, Nafas cerca qualcuno che la guidi verso la sua meta. Incontra un bambino espulso dalla scuola perché incapace di leggere il corano; un medico americano costretto a fingersi afgano che la conduce in un ospedale da campo frequentato da decine di monchi che attendono con ansia che dal cielo arrivino le protesi di legno; un vagabondo petulante con il quale riesce ad infiltrarsi in un corteo di spose dirette a Kandahar. Durante il pellegrinaggio i suoi occhi ormai occidentali esplorano la brutale condizione delle donne, larretratezza dei villaggi rurali situati nel deserto e il costante pericolo di morte rappresentato dalle migliaia di mine celate nel terreno dai tempi delloccupazione sovietica. Dopo aver superato lultimo controllo è finalmente pronta a lasciarsi accogliere dalle mura di Kandahar.   Un catalogo di orrori, dolorosamente veri si staglia nel deserto arroventato dellAfghanistan, uno sterminato altrove dove il tempo sembra aver subìto un corto circuito irreversibile. Le donne, simili a spiriti maligni che vagabondano in una valle infernale sono le vittime di uninvisibilità soffocante. Il burka è una prigione multipla che le separa dal mondo circostante ma soprattutto dai minimi presupposti di libertà; Makhmalbaf si aggira sul confine di questo mondo inviolabile e proibito cercando di penetrarlo attraverso una serie di dettagli simbolici grazie ai quali il film si riveste di un impeto poetico surreale e straziante. Limmagine delle gambe di legno paracadutate dagli elicotteri e quellesercito di mutilati che si affrettano a riceverle è di quelle destinate a rimanere scolpite a lungo nella nostra memoria visiva. La femminilità negata tenta teneramente di farsi strada nelle decine di braccialetti sonanti o nella scelta dello smalto, così come in quella scarpa provata sul piede di legno con cui un marito cerca di restituire armonia alla consorte mutilata. Lillogicità della visita medica in cui solamente un foro nella tenda permette al dottore di esaminare la paziente supera, nelle mani di Makhmalbaf, i limiti della denuncia e trasmette il senso di un erotismo estinto, i germi di una sessualità annientata che preme dentro e fuori i corpi annullati dal sopruso. Ad essere orribile non è solo la realtà oggettiva e documentabile ma anche la muta tribolazione di unidentità mimetizzata che non permette di venire a conoscenza dei sentimenti umilianti che opprimono le donne afgane. La finzione è il veicolo per documentare lesistenza di questo mondo parallelo, privo di qualsiasi barlume di razionalità, persino comico se scrutato per un attimo con rilassato cinismo. Nafas corre verso una sorella pronta a suicidarsi durante leclisse di sole. Nemmeno un atto estremo intimo e plateale come il suicidio può scardinare quelle grate di stoffa dietro le quali le donne sono costrette ad imbavagliare la propria personalità. Ormai il senso di colpa è talmente abituale da invocare loscuramento del sole persino nel gesto di liberazione finale. Anche in questa circostanza è vietato essere finalmente, disperatamente se stessi.