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Via col canguro...

Le intenzioni di Baz Luhrmann, la storia delle generazioni rubate, le tecniche di attrice di Nicole Kidman e la voce intonata di Hugh Jackman. Gli autori e il cast di Australia hanno presentato a Roma uno dei film più attesi della stagione.

Australia film

05.12.2008 - Autore: Andrea D'Addio
Non sempre l’imbarazzo della scelta si rivela un bene. 
A Roma, per la presentazione alla stampa del kolossal Australia, sono giunti il regista Baz Luhrmann, sua moglie, nonché scenografa, costumista e produttrice Catherine Martin e i due grandi divi Hugh Jackman e Nicole Kidman. Nonostante l’altisonanza di tutti i nomi, era sull’ex moglie di Tom Cruise che si concentravano le maggiori aspettative, l’affermazione con cui fare il titolo, la rivelazione che facesse ricordare il suo passaggio nella capitale e, perché no, trainare la promozione di un film che in America, per usare un eufemismo, non sta andando benissimo (ma ci si aspetta molto dall’Europa). Quasi domanda ha finito invece per essere lo stimolo per una risposta di Baz Luhrmann che avendo ideato, scritto e diretto il film, ha un po’ da dire su tutto e mai in maniera breve. Ne è uscita fuori una conferenza a basso tasso di notizie, ma interessante per chi ha voglia di approfondire la genesi e i significati  di un film che ha riunito alcuni dei migliori e più importanti personaggi del cinema australiani di oggi.

Siamo davanti a un Via col vento all’autraliana?
Baz Luhrmann: Sì, è stato uno dei miei punti di riferimento. Sono due in realtà le mie fonti di ispirazione per questo lavoro. La prima affonda nell’infanzia quando vivevo in un piccolo paesino australiano dove mio padre gestiva un cinema, un po’ come una storia che conoscete bene, Nuovo cinema Paradiso. Mi nutrivo di immagini di film come Lawrence d’Arabia e Via col vento che mio padre proiettava spesso a rotazione, film dove commedia, azione e avventura si concentravano assieme in un banchetto di cinema a cui partecipavano tutti, dai bambini ai più vecchi. Ora si fanno film per target precisi, sapendo già dall’inizio il tipo di spettatore che potrà andare a vedere quel film. La seconda ragione che mi ha stimolato a realizzare Australia è stata la mia storia personale degli ultimi anni. Dopo che è fallito il progetto di un Alessandro Magno prodotto da Dino De Laurentiis, io e mia mogli ci siano impegnato in un altro progetto, fare dei figli. Abbiamo fatto le prove generali e poi ci siamo riusciti. All’epoca vivevamo a Parigi e ci siamo cominciati a chiedere quali fossero le radici dei nostri bambini. Siamo così volati in Australia e abbiamo cominciato a pensare ad una storia che potesse raccontare un pezzo della loro, della nostra, storia

La canzone Over the rainbow di Il mago di Oz fa da fil rouge a tutto il film. Come mai questa scelta?
Baz Luhrmann: Avevo al centro della narrazione un ragazzino alla ricerca di qualcosa, di un elemento che manca alla sua vita e per il quale inizia un’avventura piena di ostacoli. A motivarlo sono i desideri, sperare che i sogni diventino realtà, proprio come nella famosa favola. Volevo unire elementi della mitologia occidentale a quelli della mitologia aborigena, creare un mondo intessuto di segni e simboli nel quale far vivere personaggi senza tempo.

La canzone preferita degli attori….
Hugh Jackman: (qui Hugh Jackman comincia direttamente a cantare la prima strofa della canzone di Bart Howard) Fly me to the moon And let me play among the stars…
Nicole Kidman: Io non ho una canzone preferita

Le storia delle generazioni rubate, ragazzi metà aborigeni metà bianchi che venivano prelevati dalle famiglie negli anni ’40 dallo stato per essere mandati a crescere in mezzo a comunità di soli bianchi, è al centro del film. Quanto ne sapevate prima dell’inizio delle riprese?
Nicole Kidman: Personalmente avevo una conoscenza superficiale e non approfondita di queste vicende. È stata una bellissima lezione di storia ma anche molto divertente. Grazie a questo film e al personaggio interpretato dal piccolo Brandon sono venuta a sapere più aspetti sulla cultura aborigena e soprattutto del problema delle generazioni rubate, un tema di cui a malapena avevo sentito parlare.
Hugh Jackman: Per me è uguale. Non è che a scuola ci parlassero delle generazioni rubate, ma solo all’università ho cominciato davvero a ricevere informazioni e avere un’idea della gravità di questa tragedia. Ciò che poi cambia quando reciti in un film come questo, è che le informazioni passano dalla testa al cuore.
Baz Luhrmann: Rappresenta un capitolo molto oscuro della nostra storia. L’idea dell’eugenetica è nata prima degli anni ’30, ma si è sviluppata dopo. Sappiamo cosa si è rivelata per l’Europa ed è terribile pensare che ha attraversato gli oceani per arrivare anche in Australia. Ha avuto un effetto devastare per la cultura aborigena. Ciò che più mi ha soddisfatto da quando ho iniziato a pensare a questo film, è che proprio durante le riprese il primo ministro australiano abbia invitato centinaia di aborigeni in parlamento e abbia chiesto pubblicamente scusa per le tante generazioni rubate.

Tramite il film avete esplorato zone della vostra nazione che non conoscevate?
Hugh Jackman: Sì, siamo andati in zone remote, quasi inaccessibili
Catherine Martin: Per raggiungere alcuni luoghi abbiamo dovuto addirittura costruire delle strade
Hugh Jackman: Qui a Roma trovo splendido il modo in cui l’antico sopravviva al nuovo, il fatto che ogni giorno si cammini, si guidi, in mezzo a una città millenaria. Ma comunque è una civilità occidentale. Lì dove abbiamo girato, si parla di luoghi lontanissimi prima di tutto culturalmente. Anche se, devo dire che anche nei luoghi più sperduti, verso il tramonto arrivava sempre un carrettino con due donne che vendeva espresso, cappuccino e caffè. La cultura italiana arriva ovunque.

Imparare a gestire, a cavallo, una mandria di bovini non deve essere stato facile…
Nicole Kidman: . Quando costruisco il personaggio mi piace ponderare e studiare tutti gli aspetti, soprattutto quelli fisici e quindi anche l’andatura, il modo di camminare. Per arrivare questo, c’è stata anche l’intuizione di Catherine Martin di farmi inizialmente indossare gonne molto strette, per costringermi a camminare in una certa maniera. E così non solo il mio modo di camminare, ma anche il modo di andare a cavallo subisce, durante il film, una netta trasformazione. All'inizio ero molto controllata e disciplinata da vera inglese e poi divento selvaggia e aperta per poter cavalcare all'aria aperta come una vera mandriana, ma il merito è soprattutto di Baz con cui ho parlato moltissimo prima e durante le riprese.
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