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Truman Capote

Opera di spessore, candidato a cinque Oscar 'pesanti', il film colpisce nel segno come analisi lucida e piuttosto impietosa di una delle figure più importanti della cultura americana del XX secolo

Capote

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Capote, Usa, 2005
Regia di Bennett Miller;
con Philip Seymour Hoffman, Catherine KeenerBruce Greenwood


Nel novembre del 1959 due malviventi assassinano una famiglia di agricoltori nel Kansas. Interessato dalla notizia, lo scrittore Truman Capote (Philip Seymour Hoffman) si reca nel luogo del massacro per scrivere un articolo sensazionale sull’efferatezza del crimine e sul suo impatto sulla comunità. Accompagnato dalla sua inseparabile amica Nelle Harper Lee (Catherine Keener), l’uomo si rende ben presto conto che dal materiale che ha a disposizione può trarne qualcosa di esplosivo. Prima di tutto Capote riesce ad ottenere l’aiuto del capo delle indagini, Alvin Dewey (Chris Cooper). In seguito riesce ad ottenere una serie di incontri con uno dei due assassini, Perry Smith (Clifton Collins Jr.), che gli permetterà di arrivare al cuore della vicenda: ciò che ne verrà fuori diventerà poi il suo capolavoro “A sangue freddo”, il romanzo-verità che ha fatto di Truman Capote uno dei massimi esponenti della letteratura americana  del ‘900.

Non lasciatevi confondere dal titolo italiano di questa pellicola: la storia di come è nato uno dei grandi capolavori letterari del nostro secolo è importante, certo, ma secondaria rispetto al proprio creatore. Il titolo originale del film è semplicemente “Capote”, in quanto ciò che viene messa in scena è principalmente la figura ambigua ed affascinante dello scrittore. A dargli corpo Philip Seymour Hoffman, che ci regala una delle migliori interpretazioni della sua carriera: la cura ed il mimetismo con cui costruisce a poco a poco il personaggio sono degne delle massime “trasformazioni” della storia del cinema americano, quelle alla Robert de Niro tanto per intenderci. Oltre a questo, l’attore dota il suo Capote del lucido cinismo necessario alla rappresentazione che il regista Bennett Miller ha scelto.

Elegante nella confezione, ma allo stesso tempo sobrio e molto preciso nella narrazione, “Capote” è un film di enorme interesse: la sceneggiatura di Dan Futterman tratteggia con cura ma mai con retorica ogni personaggio messo in scena, ed evita di cadere nella trappola del sentimentalismo. Dal canto suo Miller, alla sua prima esperienza nel lungometraggio, adotta una regia che sta incollata ai volti ed ai corpi degli attori, relegando la ricostruzione scenica come cornice adatta al dramma.

Se un difetto si vuole trovare in questa pellicola, è il fatto che in alcuni momenti il progetto allestito da Hoffman & co. risulta troppo “freddo”, incapace di empatizzare con lo spettatore. “Capote” è di sicuro un lungometraggio che punta alla mente del pubblico, proponendo una visione il più possibile distaccata di un evento e soprattutto dell’uomo che lo ha raccontato: questa scelta ha sicuramente regalato al film un distacco critico d’impatto.

Opera di spessore, candidato a cinque Oscar “pesanti” tra i quali miglior film, regia ed attore protagonista, “Capote” colpisce nel segno come analisi lucida e piuttosto impietosa di una delle figure più importanti della cultura americana del XX secolo.