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"Traffic"

"Traffic"

Traffic

09.03.2001 - Autore: Beatrice Rutiloni
La principale volontà di Traffic è quella di non prendere posizione rispetto al problema della droga, politicamente parlando. La spinta propulsiva del regista è fornire unistantanea del momento in modo più didascalico possibile. Niente prediche, niente giudizi, niente prove o suggerimenti su come si dovrebbe fare in America per sconfiggere i traffici di sostanze illegali. Un modo di rendere il più fedelmente possibile limmagine più realistica della droga, quella di un elefante nel salotto di ogni americano come dice il regista Ciò vuol dire che tutti, soprattutto i giornalisti, sanno tutto: prezzi, provenienze, giri, e soprattutto sono corroborati dallatteggiamento accondiscendente delle forze governative, per cui è molto più popolare investire soldi in aiuti militari alla Colombia che annunciare lapertura di centri per combattere la tossicodipendenza. Unanarchia controllata domina il film, che è la stessa che anima i traffici di stupefacenti, in questo caso, dal Messico agli Stati Uniti. Nelle due ore e venti di visione c\'è tutto, una stupefacente quantità di informazione di tipo giornalistico, e infatti Tim Golden, reporter del New York Times vincitore di un premio Pulitzer per i suoi articoli di approfondimento sul narcotraffico in Messico, ha fatto da consulente nella stesura della sceneggiatura, curata da Stephen Gaghan. Il controllo della storia è affidato intelligentemente ad un tratto visivo, curato nella fotografia dallo stesso regista sotto lo pseudonimo di Peter Andrews. Le storie che si intrecciano, ma non sincontrano mai, hanno dei look diversi, si passa dalla regia sporca delle azioni in Messico, con uso prevalente di macchina a mano e desaturazione digitale dellimmagine, per cui si ha un colore come quello di un sabbioso deserto dai contorni sgranati, ai freddi blu di Washington, alle atmosfere ricche e hollywoodiane di La Jolla, nella villa degli Ayala. Tratto da una serie tv della fine degli anni ottanta Traffik, questo decimo film delleclettico Steven Soderbergh, passato con disinvoltura dallindi-film per eccellenza Sesso, bugie e videotape alla fiaba moralista di Erin Brockovich, si è aggiudicato ben 5 nomination agli Oscar , tra cui migliore regia, miglior film, migliore attore non protagonista, Benicio Del Toro, su cui apriamo una degna parentesi. La prima è sul non-protagonista, perché limpressione è che Douglas- Del Toro siano più due co-protagonisti e, al limite, due alter ego seppure agli antipodi. La seconda è che Del Toro è davvero grandioso nei suoi famosi silenzi pieni di significato: lattore è noto per farsi tagliare le battute in un mondo dove la lotta a chi dice più parole è serrata; lo aveva fatto ne I soliti sospetti e lo ha rifatto in Traffic, prediligendo sempre lazione, lo sguardo, limportanza del tempo, la cadenza di una mossa, in luogo di tante parole, stile personale che gli ha reso appieno il giusto merito. Graditissimo il recupero di Thomas Milian, nei panni del generale Salazar.