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"Tigerland"
"Tigerland"

20.07.2001 - Autore: Luca Perotti
La presa di posizione è di quelle brutali. Finalmente. Joel Schumacher ha deciso una buona volta di smettere gli abiti del film-maker che si recava sul set con macchina da presa e valigia piena zeppa di dollari, labituale cospicuo budget di ordinanza per scalare, di solito invano, la classifica degli incassi, spesso con esiti tuttaltro che esaltanti anche sul piano della qualità. Chissà quindi se il suo talento rimasto inespresso, imbrigliato dalla sindrome del blockbuster, dopo lintrigante ma isolato \"Linea Mortale\" (Flatliners- 1990) sia stato illuminato da un barlume di perspicacia, e abbia deciso di dedicarsi anima e cuore al progetto \"Tigerland\", di imminente uscita anche in Italia, che tutto sembra fuorché un film di Schumacher.
Prima di tutto un cast di attori ignoti al grande pubblico. Persino luso estremo e primitivo, per Hollywood, del 16mm con uno stile di ripresa prossimo a quello dei discepoli del dogmatico Lars Von Trier, con tanto di macchina a mano e apparente disinteresse per la fotografia che si annuncia impura e cattiva, da far ribrezzo a quei pochi che hanno amato i recenti flop del regista americano. La vicenda narrata poi, è un invito a nozze per gli appassionati della sporca guerra che si svolse laggiù nel Vietnam, dove i soldati a stelle e strisce, ingoiati da un territorio sconosciuto, erano tormentati dallincubo giallo capace di celarsi in ogni anfratto. Ma Schumacher non si cala nella giungla asiatica e decide di raccontare quello scempio da una prospettiva sghemba senza costringere lo spettatore ad un ulteriore e inutile strapazzo di stampo Oliver Stone o apocalittico e travagliato sulla falsariga di Coppola.
Il film racconta invece lavvezzamento di una manciata di reclute, tuttaltro che convinte dalle obsolete sparate patriottiche anticomuniste, catapultate a Tigerland, un territorio che simula le trappole, le asperità e i tranelli della giungla asiatica dove sono in procinto di recarsi, appena saranno preparati. Lanno è però il 1971, e coloro che ancora mantengono un briciolo di fede negli assunti e nella legittimità del conflitto contro i vietcong si contano sulle dita di una mano; sono gli ultimi proiettili che stanno per essere esplosi, gli ultimi agguati ad essere predisposti ma più per inerzia, in attesa della definitiva dipartita. Il drappello di soldati, con tanto di sergente di ferro indiavolato, ha scelto come leader Bozz, la cui personale sfida è quella di uscirsene da quella situazione il prima possibile. Il militare rimane però intrappolato dalla sua leadership che, tuttavia, non gli impedisce di trovare gli escamotage più disparati per permettere ai suoi colleghi di ottenere il congedo e salvarsi la pelle.
In America il film è stato accolto dagli sguardi increduli e ammirati dei critici che non hanno lesinato paragoni con John Ford ma soprattutto con laspra cifra stilistica di Samuel Fuller.
Ci si augura che la sagacia con cui Schumacher ha concepito questo spigoloso e decadente dramma bellico gli fornisca nuova linfa che permetta al suo cinema sicuramente diseguale e discontinuo ma non privo di interesse di assestarsi su delle scelte dettate dalla necessità di esporre le intuizioni del proprio sguardo, senza più accollarsi la responsabilità del fallimento di produzioni improbabili e vacue. La strada per il dimenticatoio potrebbe subire una deviazione e chissà che proprio Tigerland non costituisca il bivio giusto.