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The Inerasable - La recensione dal Tokyo Film Festival

L'horror giapponese rilegge il genere, e lo raccoglie in una catena maledetta dalle origini letterarie

29.10.2015 - Autore: Mattia Pasquini (nexta), da Tokyo
Probabilmente i meriti maggiori del The Inerasable di Yoshihiro Nakamura sono da ricercarsi nella storia di partenza, pubblicata nel 2012 da Fuyumi Ono in Zange (e vincitrice del Premio Letterario Yamamoto Shugoro), ma va sicuramente reso al regista e sceneggiatore di averla scelta e adattata per il grande schermo. E questo nonostante un prologo piuttosto didascalico - soprattutto se riletto a posteriori - e forse non del tutto necessario.

L'origine letteraria - specchiata nel rapporto epistolare iniziale tra le principali protagoniste - e la struttura 'crime' del film, infatti, oltre al fatto di ruotare intorno all'indagine di una scrittrice (per altro di una saga dell'orrore), caricano già lo sviluppo di sufficiente narratività, e delle spiegazioni di quanto vediamo accadere. Pur senza una certa intensità, inquieta e disturbante, tipica del J-horror moderno.

In compenso sullo schermo si compone via via un vero e proprio regesto di topoi del genere, in una maniera che riporta alla mente l'operazione compiuta da Scream a suo tempo, anche se non con quella stessa intenzione ironica. Verrebbe in mente la classificazione di Todorov della fiaba, se non fosse che si stesse comunque parlando di una storia di fantasmi e case infestate. Facile avvertire echi del Sesto senso e di Poltergeist, ma sarà bene non farsi confondere. Non più di quanto il racconto principale già non faccia.

Maledizioni e disperazione, antiche ingiustizie, sono le tappe tipiche di una rilettura delle regole del genere. Per lo meno di quelle che eravamo abituati a dare per scontate. Per lo meno per quanto riguarda il radicarsi del 'rancore' e dl dolore che abitano un determinato luogo. Troppo poco per costruire una vicenda convincente? Forse, almeno quanto a struttura. Eppure i tentativi di aggiungere tasselli a questa spina dorsale non risultano altrettanto intriganti. Comprensibilmente, visto che è nella natura del genere, ormai, attrarre più per l'immediatezza di determinate scene che per la teoria che sottendono.

Ne deriva l'impressione di aver cercato di compensare con una quantità di diverse teorie e possibilità la carenza di una credibile connessione tra gli elementi messi in scena. Ma nonostante questo, e al netto di conseguenti mancanze di equilibrio, l'operazione generale ha una sua originalità. E, in conclusione di questa 'Fiera dell'Est', avrebbe potuto - e dovuto - far a meno di certe ingenuità, soprattutto nel finale, e di un epilogo inutilmemte brutale ed esplicito.


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