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The Dressmaker - La recensione da Toronto

Tra western e commedia, il deserto australiano fa da sfondo a una crime story decisamente inusuale.

16.09.2015 - Autore: Mattia Pasquini (nexta), da Toronto
È un peccato che certi film siano difficili da distribuire in Italia, e che la presenza di Kate Winslet non sia (più) un motivo per portare pubblico in sala, perché questo The Dressmaker rischia davvero di passare inosservato dalle nostre parti. Un peccato perché nel tanto lamentarsi della generale monotonia dell'offerta cinematografica e nella difficoltà di rinnovare generi e modelli questo ritorno di Jocelyn Moorhouse è davvero una piacevole boccata d'aria fresca.

Sceneggiatrice (Insieme per caso) e regista (Segreti, ma avrebbe dovuto dirigere Russell Crowe nell'Eucalyptus in cui l'avremmo visto nudo), l'australiana porta al Festival di Toronto una commedia nera dai molti twist e dall'ambientazione molto particolare. Tutto si svolge nel più classico degli sperduti villaggi dello stato di Victoria, a partire dal ritorno di una particolarissima 'figliola prodiga' dopo tanti anni passati a Parigi, esule dal suo paese natale.


Per scene e commento musicale è davvero impossibile non pensare a un western, ma resta un omaggio giocoso più che una caratterizzazione. Visto soprattutto che da subito la trama si denuncia essere più noir che avventurosa. E così procede, nonostante il susseguirsi di sorprese. Nei personaggi (ci son anche Hugo Weaving, Judi Davis e Liam Hemsworth), negli accadimenti e negli strumenti utilizzati per sviluppare l'intreccio.

Dopo la costumista in cerca di redenzione o definitiva condanna, vediamo infatti entrare in scena un poliziotto fashion addicted, un anziano farmacista 'azionato' a spinta, un furbo potentato locale, una maestra di scuola frustrata e solitaria, oltre a una semi demente e semi paralizzata figura chiave e non molti altri personaggi lungi dall'essere di contorno.

Un nucleo tutto sommato limitato, che muovendosi su un palcoscenico altrettanto angusto (nonostante gli sconfinati spazi del territorio ospitante) rende la narrazione più fumettistica che teatrale. Per il succedersi di vignette e per certe estremizzazioni. Non ultime quelle più 'luttuose', spesso sfruttate per aumentare il tono surreale del racconto. Che, coerentemente con quanto mostrato sullo schermo, nasconde molto sotto lo sfarzo di una veste appariscente.
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