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Texas

Non convince del tutto l'esordio alla regia del talentuoso autore teatrale Fausto Paravidino. Nel film Valeria Golino e Riccardo Scamarcio

texas

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Regia di Fausto Paravidino;
con Fausto Paravidino, Riccardo Scamarcio, Valeria Golino.

Il principio primo del cinema, a prescindere dalla produzione, dal budget, dal paese d’origine o dalla stesa poetica del regista, è senza dubbio l’azione. La sequenza logica è semplicissima: un qualsiasi causa fondante scatena un moto – l’azione, appunto – il quale genera un effetto che a sua volta porta ad una reazione - altra azione, quindi.
Qualsiasi opera cinematografica, concettualmente destinata ad un pubblico, non può prescindere dalla necessità di raccontare un fenomeno di causa-effetto. Ebbene, nei 105 minuti di durata di “Texas” si contano soltanto quattro azioni effettive: una scazzottata tra amici all’inizio ed altre tre scene di sesso sparse qua e là lungo la pellicola. Per il resto, la storia si snoda soltanto attraverso un susseguirsi di scene slegate tra loro ed un  fiume imperterrito di dialoghi.
Paravidino alla fine, vista la mancanza totale di snodi drammatici, attraverso le ellissi temporali del montaggio sembra essersi visto costretto a doppiare il litigio messo in scena nell’incipit di “Texas”, creando una struttura ad incastro che però risulta un inutile artificio formale.
La grande povertà di questo lungometraggio sta quindi nel non riuscire a muovere in nessun modo la vicenda, limitandosi ad esporre una serie di situazioni tanto stantie quanto ammantate della retorica più deprimente. Ennesimo spaccato sullo squallore della provincia italiana, “Texas” è un film corale a cui invece manca proprio il cuore: quale è l’idea di base che dovrebbe fungere da catalizzatore in grado di muovere la vicenda? Che cosa ha voluto raccontare Paravidino facendoci vede una serie di figure già viste in decine di altre opere? Soprattutto, perché gli spettatori dovrebbero essere interessati a questo totale vuoto di senso?
Dei mediocri film italiani presentati alla Mostra del Cinema di Venezia, “Texas” sembra essere quello che meno di tutti si poggia sopra una precisa idea di base su cui costruire la propria vicenda. Tutto il resto sembra conseguentemente andare dietro a questa fondamentale mancanza: le psicologie dei personaggi non si delineano in nessuna direzione, ma rimangono ancorate ad una schematicità che le appiattisce senza possibilità di approfondimento. Da parte sua, il novello regista dimostra tutta la sua inesperienza dietro la macchina da presa, limitandosi a filmare senza estro e tentando poi con alcuni mezzucci propri del mezzo/cinema - soprattutto nell’incipit del film – di mascherare l’assenza di originalità.
Che rimane dunque di quest’esordio del giovane autore? Praticamente nulla. Per tentare di non voler passare sempre e comunque per coloro che amano gettare fango sulla propria cinematografia, vorremmo sinceramente trovare qualcosa da salvare: nel caso di “Texas”, qualsiasi tentativo orientato in questo senso sarebbe insensato.











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