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Tartarughe sul dorso

Affascinante esordio di Passetto, 37enne regista romano, che con uno schema ad ellissi narrative ben poco italiano pare aver respirato soprattutto cinema francese e est-europeo

TARTARUGHE SUL DORSO

12.04.2007 - Autore: Claudio Moretti
Regia di Stefano Passetto
con Barbora Bobulova e Fabrizio Rongione


Tutto inizia dalla nuca bionda di una donna. Una di quelle donne che non si girano mai e che quando lo fanno è troppo tardi. La insegue come un sogno, un uomo. Uno di quegli uomini che rischiano di diventare prigionieri di una nuca cui possono dare qualunque volto.
Si rincontrano nel parlatorio di una prigione e ricostruiscono la loro storia di incontri mancati giocando a Scarabeo. Dalle parole sulla griglia del tabellone si innescano i ricordi del passato. A legarli tra loro solo una tartaruga, baratto adolescenziale per accarezzare la schiena che si distende sotto quella nuca. Poi a lungo si sfiorano senza saperlo.

Lui interpreta con una bella manciata di creatività il mestiere di pasticciere. Nella Trieste che si aggira come un macro-personaggio del film, inventa il “Dolce Scirocco”, una provocazione per lenire dalle taglienti raffiche di bora. Alla figlia del padrone che prova a baciarlo risponde: “Non riesco a concentrarmi quando c’è qualcosa in forno”, le crostate si bruciavano. Ma al mastro-pasticciere va bene così: “Basta che non mi metti la colla di pesce nello chantilly”. Poi però non gradisce la granella di mandorla nella zuppa inglese e lo caccia. Troppo estro per una pasticceria.
Lei invece apre una parentesi alla laurea in medicina quando mancano solo due esami e torna a vivere a Trieste dall’amata zia. Prova a spingerla verso un amore di mezz’età con il vicino di pianerottolo. I due si corteggiano solo da lontano incrociando parole sulla settimana enigmistica. Lei vuole di più e allora da laureanda in medicina cerca il cuore al signore. Poi glielo disegna sulla pelle per fargli ricordare dov’è e sospingerlo verso la zia. Lui, invece, usa il bersaglio per spararci un colpo di pistola e tornare polvere.
Intanto i due continuano a sfiorarsi per le vie di Trieste. Una specie di rapporto sul dorso, come una tartaruga. Solido e corazzato, ma immobile. Poi un giorno si ribalta la prospettiva. Si ritrovano faccia a faccia in una sala operatoria. Lei rinuncia a tutto per lui. La tartaruga scappa, mentre lui bacia la nuca di lei, il suo sogno infantile. Lui in fondo non crede alla loro storia, nella sua idealizzazione quella nuca non poteva avere un volto.

Con uno schema ad ellissi narrative ben poco italiano, il film pare aver respirato soprattutto cinema francese e est-europeo. I fatti entrano ed escono dallo schermo come da porte girevoli. Con grande rapidità e immediatezza, senza dover bussare o chiedere permesso. Entrano e basta. Pasetto prova a contraddire la struttura melò: non chiude gli eventi interni, lascia le parole non dette e gli sguardi un po’ sbilenchi.
La domanda è: le coincidenze finiscono per strangolare il film, o il film alla fine se ne nutre crescendogli intorno, arrampicandosi come l’edera al muro per raggiungere vette di cinema elevato?
Verrebbe da barrare la b), con una piccola riserva: se Pasetto fosse stato asciutto nell’affresco complessivo del film come lo è nelle singole scene, sarebbe arrivato ancora più diretto allo spettatore.
Affascinante comunque l’esordio di Pasetto. Tutto da godere e seguire il trentasettenne romano. 

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