L'originale “Paranormal Activity” è un film perfetto, nel suo genere: è costruito in maniera semplice ma efficace, con una tecnica basilare ma gestita e controllata con abilità sopraffina, e dispensa un terrore profondo che va a scavare in paure ataviche, procurando brividi anche solo con un rumore. Con un incasso di quasi quattrocento milioni di dollari in tutto il mondo, a fronte di un budget di circa quincimila, era chiaro che la Paramount avrebbe intrapreso la strada del sequel. E così è stato, solo che stavolta Oren Peli si è intascato il suo bell'assegno e si è messo comodo, lasciando il lavoro a Tod Williams. Il risultato è anni luce inferiore al primo, ma forse non è nemmeno colpa di Williams. Forse anche Peli non avrebbe saputo, o meglio potuto, fare di più.
Per comprendere le ragioni del fallimento è bene confrontare questo film con un sequel analogo, “Rec 2”. Una pellicola che presenta lo stesso problema che affigge “Paranormal Activity 2”: nel tentativo di non realizzare una banale carta carbone del prototipo, gli autori hanno concluso che l'unica strada fosse quella di espandere l'universo dell'originale, moltiplicando i punti di vista. Così, in “Rec 2” abbiamo tre diverse telecamere, tre differenti punti di vista che scorrono paralleli, si incontrano e si scontrano. In “PA 2”, invece della singola telecamera, c'è addirittura un sistema a circuito chiuso che riprende varie stanze della casa. Tranne la camera da letto della coppia protagonista, giusto per non scadere nel già visto. Ma a espandersi non sono solo i punti di osservazione: anche il cast è triplicato rispetto all'originale. Oltre alla sorella di Katie, Chrissie, e al marito di lei, stavolta abbiamo anche una figliastra, un bebè e un cane, per non parlare di una tata messicana che sembra uscita dai “Goonies”.
Peccato che poi questa sovrabbondanza di materiale vada a minare l'efficacia stessa dell'originale, che traeva forza proprio dalla sua semplicità. Qui il gioco si fa troppo cinematografico – con questo continuo cambio di inquadratura che prende i contorni di un vero montaggio – per non compromettere la sospensione dell'incredulità. Risultato: si crea un filtro troppo evidente tra realtà e finzione, si finisce per capire che si sta guardando un film e la frittata è fatta. L'illusione svanisce.
Qualcosa di buono c'è, come l'idea di girare contemporaneamente un prequel e un sequel del primo capitolo. Ma tutto si perde in una sequela estenuante di salti ripetitivi tra giorno e notte che, almeno nella prima metà del film, non portano avanti la trama di un millimetro, laddove nel primo ogni dettaglio serviva per far procedere il plot e montare la tensione. Il finale, purtroppo, non riesce a evitare il ridicolo. E alcuni dettagli fanno sorridere, anziché inquietare: vedere per credere il già leggendario “Pulisci-piscina”, un vero e proprio personaggio quanto i protagonisti umani.
Di lodevole c'è solo il tentativo – già fatto nel primo – di restituire importanza ai rumori diegetici nella costruzione dello spavento, ultimamente troppo spesso affidato alle impennate della colonna sonora. Però, come nel caso di “Rec”, “Paranormal Activity 2” sta a dimostrare che ci sono casi in cui sarebbe opportuno non andare a stuzzicare la carcassa con un legnetto, e lasciarla dove sta.
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Paranormal Activity 2 - La nostra recensione
Il sequel del fenomeno horror della scorsa stagione tenta di espanderne l'universo, ma finisce inevitabilmente per minare la semplicità che era anche la maggiore forza del prototipo
23.10.2010 - Autore: Marco Triolo