Il monito arriva nelle prime sequenze. Dal Libro di Geremia, capitolo 11, versetto 11: “Per questo manderò una sciagura e non potranno evitarla. Essi mi chiameranno a gran voce perché li aiuti, ma io non li ascolterò”. L’alleanza con Dio è stata tradita, l’America puritana deve calare la maschera. La chiave di lettura è già nel titolo originale: Us. La traduzione immediata è stata Noi, ma il riferimento è agli Stati Uniti (United States).
Il regista Jordan Peele si dimostra maestro dell’horror politico. La sua riflessione era iniziata con Scappa – Get Out, quando aveva portato sul grande schermo un sistema fondato sulla subalternità delle persone di colore. La sua era una teoria economica, sociale, sulla scia di film all’apparenza ben più militanti. E in Noi il ragionamento prosegue. Non si parla più solo di razzismo (gli amici "bianchi" restano i più ricchi, e gli afroamericani cercano di imitarli), ma del lato oscuro di un Paese, dell’identità perduta di un popolo, che per anni si è nascosto dietro al perbenismo. Crollano le promesse di Reagan, le speranze portate avanti anche da Obama.
Quello di Peele è un cinema che agisce sotto la superficie, nascosto nelle gallerie dimenticate di una nazione, nel senso di colpa dilagante portato dalle scelte estreme dell’amministrazione Trump. Attacco al potere, a chi pensa di essere innocente. Si parte con un tranquillo weekend di paura. Un’allegra famiglia va in vacanza, e viene assalita nella sua casa al mare. Richiami a Funny Games di Michael Haneke, dove chi non distoglieva lo sguardo diventava complice dei carnefici.
Ma il film cambia subito direzione. La madre disperata chiede agli aguzzini: “Chi siete voi?”. E la risposta è programmatica: “Siamo americani”. Americani ormai assuefatti alla violenza, americani che uccidono, odiano, opprimono con il sorriso sulle labbra. Ma gli “squilibrati” non sono sconosciuti, siamo Noi. Il volto diabolico dell’umanità, quello che si cerca di nascondere. Peele gioca con il tema del doppio, con il controllo che si cerca di esercitare sulle angosce, sulle tenebre.
Leggi anche: Quali sono gli horror milionari?
È un’arte stratificata, tra commedia e orrore. Un incubo fatto di linee, geometrie, pulsioni animalesche. Che rivendica la sua anima pop citando Lo Squalo di Steven Spielberg, disegnato sulla maglietta di un bambino. Le mattanze si svolgono sulle note di Good Vibration dei Beach Boys, di Fuck The Police dei N.W.A. Peele costruisce il suo luna park da brivido, risveglia l’antico terrore dell’ignoto (una volta declinato in chiave anticomunista), che si poteva toccare con mano ne L’invasione degli ultracorpi. Ma qui gli "alieni" siamo noi, esseri umani allo sbaraglio, ormai oltre ogni regola.
Scappa - Get Out, ripassalo su Amazon prima di vedere Noi
Storie di periferia, lontano dalle grandi metropoli. Villette in mezzo ai boschi dove la legge non può arrivare, corse forsennate nei vialetti per fuggire da un destino beffardo. Quella di Peele non è più una questione di genere, di canoni riconosciuti. Sceglie di ripartire dalle fondamenta, strizzando l’occhio anche a un certo spirito surreale (i conigli saranno un tributo a David Lynch?). Ma il momento più bello è quello di una danza, di una lotta atavica, tra presente e passato, sull’onda di Suspiria di Luca Guadagnino. Forse l’unica soluzione è prendersi per mano, tracciare una riga oltre i confini geografici, che unisca tutti. Prima della fine.
Il film uscirà nelle sale il 4 aprile distribuito da Universal Pictures
Il regista Jordan Peele si dimostra maestro dell’horror politico. La sua riflessione era iniziata con Scappa – Get Out, quando aveva portato sul grande schermo un sistema fondato sulla subalternità delle persone di colore. La sua era una teoria economica, sociale, sulla scia di film all’apparenza ben più militanti. E in Noi il ragionamento prosegue. Non si parla più solo di razzismo (gli amici "bianchi" restano i più ricchi, e gli afroamericani cercano di imitarli), ma del lato oscuro di un Paese, dell’identità perduta di un popolo, che per anni si è nascosto dietro al perbenismo. Crollano le promesse di Reagan, le speranze portate avanti anche da Obama.
Quello di Peele è un cinema che agisce sotto la superficie, nascosto nelle gallerie dimenticate di una nazione, nel senso di colpa dilagante portato dalle scelte estreme dell’amministrazione Trump. Attacco al potere, a chi pensa di essere innocente. Si parte con un tranquillo weekend di paura. Un’allegra famiglia va in vacanza, e viene assalita nella sua casa al mare. Richiami a Funny Games di Michael Haneke, dove chi non distoglieva lo sguardo diventava complice dei carnefici.
Ma il film cambia subito direzione. La madre disperata chiede agli aguzzini: “Chi siete voi?”. E la risposta è programmatica: “Siamo americani”. Americani ormai assuefatti alla violenza, americani che uccidono, odiano, opprimono con il sorriso sulle labbra. Ma gli “squilibrati” non sono sconosciuti, siamo Noi. Il volto diabolico dell’umanità, quello che si cerca di nascondere. Peele gioca con il tema del doppio, con il controllo che si cerca di esercitare sulle angosce, sulle tenebre.
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È un’arte stratificata, tra commedia e orrore. Un incubo fatto di linee, geometrie, pulsioni animalesche. Che rivendica la sua anima pop citando Lo Squalo di Steven Spielberg, disegnato sulla maglietta di un bambino. Le mattanze si svolgono sulle note di Good Vibration dei Beach Boys, di Fuck The Police dei N.W.A. Peele costruisce il suo luna park da brivido, risveglia l’antico terrore dell’ignoto (una volta declinato in chiave anticomunista), che si poteva toccare con mano ne L’invasione degli ultracorpi. Ma qui gli "alieni" siamo noi, esseri umani allo sbaraglio, ormai oltre ogni regola.
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Storie di periferia, lontano dalle grandi metropoli. Villette in mezzo ai boschi dove la legge non può arrivare, corse forsennate nei vialetti per fuggire da un destino beffardo. Quella di Peele non è più una questione di genere, di canoni riconosciuti. Sceglie di ripartire dalle fondamenta, strizzando l’occhio anche a un certo spirito surreale (i conigli saranno un tributo a David Lynch?). Ma il momento più bello è quello di una danza, di una lotta atavica, tra presente e passato, sull’onda di Suspiria di Luca Guadagnino. Forse l’unica soluzione è prendersi per mano, tracciare una riga oltre i confini geografici, che unisca tutti. Prima della fine.
Il film uscirà nelle sale il 4 aprile distribuito da Universal Pictures