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L'uomo del treno

Un previdente che vorrebbe essere avventuriero. Un avventuriero che vorrebbe essere previdente. Questa la logica attorno a cui si snoda il bellissimo film di Patrice Leconte.

L'uomo del treno

12.04.2007 - Autore: Matteo Nucci
Le porte della villa di Manesquier sono sempre aperte. La provincia francese, nella malinconia di rugiada e luci tiepide, è tranquilla. Tutto va avanti seguendo i ritmi che la natura ha imposto al giorno e alla notte. Professore in pensione, Manesquier lascia che la sua casa decadente ospiti il passaggio inesorabile del tempo, affidandosi ad abitudini di cui continua a sorprendersi. Autoironico, per nulla retorico, amante di una poesia priva di ridondanza, non ha mai smesso di guardarsi attorno - una curiosità quasi ingenua, fanciullesca. Quando incontra Milan, solitario e determinato, ne riconosce subito la natura. E lamicizia non fatica a nascere. Tre giorni di amicizia virile. Unimmagine a raccontarla. Manesquier chiede a Milan di andare a comprare del pane. Non perché labbia dimenticato, ma perché non sopporta la fornaia e quellabitudine di chiedere sempre desidera altro?. Quando Milan torna con due baguettes, Manesquier sa benissimo che, nonostante Milan gentilmente lo neghi, la fornaia non ha usato, con lui soltanto, la formula di rito. Ma quel che è più significativo è la coppia di baguettes. Milan ha infatti ricordato linsegnamento di Manesquier: lumanità si divide in avventurieri e previdenti. I previdenti hanno due cose di tutto, nel migliore dei casi tre. Un previdente che vorrebbe essere avventuriero. Un avventuriero che vorrebbe essere previdente. Questa la logica attorno a cui si snoda il bellissimo film di Patrice Leconte. Pensato fin dallinizio per i due straordinari protagonisti, Luomo del treno è infatti tutto costruito su un dualismo che lascia intravvedere una più profonda unità. Colori tenui sullazzurro e Schubert per Jean Rochefort. Ocra e Ry Cooder per Johnny Hallyday. Entrambi soli, però. E, soprattutto, dominati da unansia che non li lascia vivere chiusi nel proprio ruolo. Non importa che uno desideri le pantofole dellaltro e laltro le giacche di pelle delluno. Quel che conta è la curiosità, una smania viva. Mentre la coincidenza (o il destino?) ha stabilito per entrambi un appuntamento nella stessa mattina di un sabato qualunque. La leggerezza con cui Jean Rochefort sa restituire lautoironia di Manesquier trova una sponda adeguata nella freddezza di Johnny Hallyday, capace di far scivolare tranquillamente il proprio personaggio dal cinico al timido. La sapiente mano di Leconte li guida in un racconto ridotto allessenziale, dove i caratteri sono quasi stilizzati, senza che arrivino a inaridirsi. Nessuna esagerazione. I tratti commoventi sono privi di retorica. Mentre le situazioni comiche nascono quasi da sé. Come nella scena in cui Manesquier incontra la sorella e tenta di indurla a dire, finalmente, che suo marito è un grandissimo stronzo. Lei rifiuta. Eravamo due ragazzini insiste lui saltavamo nei prati. Siamo diventati due mummie Abbiamo sempre detto il contrario di quel che pensavamo insiste. Lei scuote il capo, vuole andar via. Poi sulla soglia si ferma, capo chino, contrita: È un grandissimo stronzo blatera velocemente.