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Lo streaming del weekend – L'autista, su Netflix l'action d'altri tempi con Frank Grillo

Un padre disposto a tutto pur di salvare sua figlia, in un film che sembra la versione action di Locke. Ma che trova la sua voce sincera e originale

L'autista

01.06.2018 - Autore: Marco Triolo
Chiunque si stia facendo portavoce, in questi mesi, dell'opinione secondo cui “i film di Netflix non sono veri film”, non si rende davvero conto dell'impatto che Netflix ha avuto in ambito distributivo e produttivo. Progetti interessanti che altrimenti non vedrebbero la luce o farebbero molta fatica a trovare una distribuzione decente e dunque un successo di pubblico sufficiente, diventano invece ghiotte aggiunte a un parco di film e serie TV che l'utente medio sfoglia in cerca di qualcosa da vedere nel tempo libero. E vengono visti. E magari danno ai loro autori nuove chance di far carriera nel sistema Hollywood.
 
L'autista – titolo italiano abbastanza generico di Wheelman – rappresenta per il regista esordiente Jeremy Rush, anche sceneggiatore, proprio questo. È un film breve, senza fronzoli, che va dritto al punto. Un action d'altri tempi innamorato del rombo dei motori, che racconta di rapine andate male ma lo fa in maniera fresca, lavorando molto bene sul punto di vista di chi, a quelle rapine, non partecipa se non come autista, appunto.

 
Rush ha due ottime intuizioni. La prima, affidare il ruolo del protagonista senza nome a Frank Grillo. Grillo simboleggia alla perfezione questo tipo di cinema, con il suo status di caratterista di ferro, capace di farsi protagonista quando serve e caricarsi un film sulle spalle. Un attore che, nonostante una filmografia ormai più che ventennale, non è ancora propriamente esploso, e si muove tra progetti medi e grandi senza mai montarsi la testa, ma facendo sempre il suo lavoro in maniera precisa, professionale e carismatica.
 
La seconda ottima intuizione è raccontare quasi tutto dall'abitacolo dell'auto. La macchina da presa non esce mai dal veicolo nei primi due atti, e tutto ciò che avviene all'esterno lo vediamo dai suoi finestrini e dal parabrezza. Di conseguenza, i rumori sono attutiti e non riusciamo sempre a capire i dialoghi al 100%. Una trovata molto bella di cui Rush non abusa, e che dunque non appare come esercizio di stile ma come prova di rigore.


 
È innegabile che Wheelman abbia un modello piuttosto evidente, ovvero Locke di Steven Knight. In quel film, Tom Hardy viaggiava nella notte parlando al telefono con una serie di personaggi, diretto verso un ospedale lontano per assistere al parto della sua ex amante. Un film giocato tutto su una tensione impalpabile, sui dialoghi, in cui l'azione era totalmente assente. Jeremy Rush sembra essersi chiesto: “E se Locke fosse stato un film d'azione?” e aver messo in pratica quella fantasia.
 
Ma, lungi dall'essere solamente una replica di modelli pre-esistenti (oltre a Locke si pensa, ovviamente, a Drive e Driver, l'imprendibile), Wheelman trova la sua voce sincera nel rapporto tra il protagonista e sua figlia (Caitlin Carmichael), che a un certo punto entra nella mischia e siede accanto al padre nell'atto finale. L'affetto che questo criminale per necessità (e non per scelta) prova per lei sfocia in una serie di dialoghi che ne mettono perfettamente in luce la natura morale, il codice di comportamento etico in un mondo che non lo è. In questo rapporto sta il cuore pulsante di un film che corre veloce come il suo protagonista eppure, come lui, lascia il segno.

L'autista è disponibile su Netflix.

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