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Le tre sepolture

Oltre che essere un grande western contemporaneo, è prima di tutto 'un film di confine'; il confine mentale e sentimentale in cui si muovono tutti i personaggi, sepolti nella propria desolata esistenza

Le Tre Sepolture

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
The Three Burials of Melquiades Estrada, Usa, 2005.
Di e con Tommy Lee Jones e con Barry Pepper, January Jones, Dwight Yoakam


Ci sono delle pellicole che un artista probabilmente aspetta per tutta una carriera, e quando arrivano riescono finalmente a metterlo in condizione di esprimere tutte le sue potenzialità: questo sembra il caso dello splendido “Le tre sepolture” e soprattutto del suo realizzatore, Tommy Lee Jones. Caratterista dal volto pietroso e scavato, l’attore ha diretto una ballata che in più di un momento arriva dritta al cuore dello spettatore, trasformandosi in un’elegia capace di tratteggiare con cura uno stato sospeso, una terra posta la limite. Già, perché “Le tre sepolture” oltre che essere un grande western contemporaneo, è prima di tutto “un film di confine”; il confine mentale e sentimentale in cui si muovono tutti i suoi personaggi, sepolti nella propria desolata esistenza ed insieme disperatamente aggrappati a qualcosa: ad un amico scomparso, ad un luogo immaginario, al dovere, al proprio compagno, non importa. E’ l’illusione e soprattutto la sua perdita il senso ultimo della pellicola.

Per riuscire ad arrivare ad un simile risultato artistico Jones ha avuto bisogno di un testo che possedesse la pregnanza necessaria, quindi molto del merito va attribuito anche a Guillermo Arriaga, che dopo gli script per i film di Alejandro Gonzàlez Inàrritu – la coppia si è riformata anche per il prossimo “Babel”, interpretato da Brad Pitt, Cate Blanchett e Gael Garcìa Bernal - dimostra di saper ormai poter disporre a suo piacimento degli stilemi del melodramma. Questa volta lo sceneggiatore ha optato per una storia che contenesse in sé non soltanto il dolore di figure ferite nell’intimo, ma anche un umorismo grottesco e surreale, eco esplicito di rimandi marqueziani. Ed ecco dunque, quando meno lo si aspetta, che dal film arriva allo spettatore la liberazione della risata improvvisa, che impreziosisce ancora di più il timbro dolente e cadenzato del racconto. Jones, acutissimo regista, sceglie di prendersi tutto il tempo consono a questo tipo di narrazione, e costruisce un lungometraggio dal ritmo interno suadente e preciso. La messa in scena non sale mai sopra le righe, e permette così a tutte le figure di esplicitarsi al meglio man mano che la storia procede; in questo modo tutti gli attori in scena, dal magnifico protagonista agli efficacissimi comprimari, riescono a tratteggiare con cura e commozione i propri personaggi, gente di confine che vive questa divisione prima di tutto dentro se stessa.

Doloroso e rarefatto, premiato all’ultimo festival di Cannes con la palma al miglior attore e quella per la sceneggiatura, “Le tre sepolture” è un grande esempio di cinema che viene dal cuore, opera di un attore che sembra aver aspettato molto tempo in cerca dell’occasione giusta per poter fare il proprio cinema. Visto il risultato, non ha aspettato invano. Applauso a Tommy Lee Jones.
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