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Le nostre anime di notte: a Venezia passa la Storia del Cinema - recensione

Nella produzione originale di Netflix, risplendono le stelle di Robert Redford e Jane Fonda

01.09.2017 - Autore: Mattia Pasquini, da Venezia (Nexta)
Non sembra la persona impaziente che dice di esser diventata, nel Le nostre anime di notte di Ritesh Batra (The Lunchbox) che vedremo su Netflix a fine mese e che è appena stato presentato alla Mostra di Cinema di Venezia, ma fa effetto sapere che Robert Redford abbia deciso di smettere di recitare anche per dedicarsi alla pittura. Una passione che condivide con il suo Louis, protagonista con la splendida Addie di Jane Fonda di una commedia romantica, semplice come può sembrare.



Semplice nella storia, di solitudini in cerca di sollievo e di tradizioni radicate; semplice nel racconto, semplice nella presentazione e nelle ambientazioni. In fondo con due protagonisti di questo calibro ed esperienza - 79 anni l'una, 81 l'altro - qualsiasi contesto o personaggio rischierebbe di scomparire. Non questi, non con loro. Soprattutto nel caso di Redford, lento e invecchiato (in maniera invidiabile), ma sempre più capace di esprimere tanto con una sola espressione, un solo sguardo… Capace come pochi di non imporsi, non sovrapporsi all'interpretazione.

I campi e controcampi con cui li vediamo a confronto, inizialmente, fanno impressione e a tratti rendono difficile scindere l'immagine dei due Leoni d'Oro alla Carriera di Venezia 74 (di nuovo insieme dopo La caccia di Arthur Penn, A piedi nudi nel parco e Il cavaliere elettrico) dai due vedovi preoccupati principalmente di "superare la notte". Una necessità basilare, umana, che diventa lo spunto per una riflessione più ampia e l'ennesima conferma di quanto la vita non si possa mai considerare finita, data per scontata.



Ci vuole coraggio - o disperazione - nel rompere una routine, nel riaprire una agenda dalle pagine incollate dal tempo (uno dei più belli, in un film ricco di dettagli), ma tutto trova sempre un equilibrio. E qui non si fa eccezione. Le similitudini che possa ispirare la vicenda son quelle immaginabili, come è facile immaginare anche l'esito del rapporto tra i due. Eppure non è importante. "Let it go" consiglia a Redford la sua 'alleata', ché la vita è breve. E così il film, che potremmo liberare dai condizionamenti di una critica pura e lasciare fatalisticamente al suo cocktail di memoria e verità, di rimorso e perdono.

Un prodotto televisivo, certo, sicuramente non 'speciale' cinematograficamente, ma consolatorio senza troppa retorica. Che non sia quella dei negozi di provincia, degli hamburger nel cestino di plastica e delle camicie a quadri nell'armadio… Un 'Comfort' Movie che ci lascia con la netta sensazione che in fondo non serva molto di più. Nessuna 'Big News', ma solo la possibilità di vivere la vita giorno dopo giorno potendo raccontarla, la sera, a qualcuno. Di godere della magnificenza dei panorami del Colorado o delle abitudini e degli amici della piccola Holt (come il pungente Dorian di uno splendido Bruce Dern) in cui tutto si svolge. Un Midwest archetipico, nel quale adagiarsi in attesa del colpo di scena finale, un twist leggero anch'esso, che si accetta con serenità. Soprattutto dopo la piccola parentesi con la figlia di lui, Holly (Judy Greer, a fare da contraltare al più irrisolto figlio di lei, Matthias Schoenaerts). Un momento al quale si arriva lentamente, accompagnati e al fianco dei due 'compagni di viaggio' e che, con un tocco lieve, colpisce al cuore.


Le nostre anime di notte (Our Souls at Night) sarà disponibile a partire dal 29 settembre su Netflix