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L'atelier, il nuovo film di Laurent Cantet sfida rabbia e intolleranza (Recensione)

Dal regista de La classe, una nuova riflessione sui giovani francesi e le disuguaglianze della società

L'atelier

05.06.2018 - Autore: Gian Luca PIsacane
I giovani di Laurent Cantet cercano la loro strada, inseguono il sogno di non sentirsi inutili nel mondo. La paura è quella di essere trasparenti, di rischiare l’oblio prima ancora di aver raggiunto un qualche obbiettivo. Ancora una volta ci troviamo davanti a una classe. Ma non siamo in un’aula, come nel capolavoro (appunto La classe, che in originale s’intitolava Dentro le mura) vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 2008, ma a un workshop per imparare a scrivere. Gli studenti si scontrano con l’insegnante, le diverse etnie si sfidano a chi fa la voce più grossa, scatenando liti tra i compagni di corso. Le differenze sociali si riflettono sul gruppo, accettare l’altro è sempre più difficile, specialmente quando cambia il colore della pelle. Dietro i sorrisi si nasconde la diffidenza, spesso si sceglie una maschera per convivere in una falsa armonia.

 
L’atelier, come tutto il cinema di Cantet, trova le sue radici nella parola, nei dialoghi attorno a un tavolo. Anche se i protagonisti si riuniscono in mezzo alla natura per le loro lezioni, non si può sfuggire alla crudeltà del quotidiano, alle antiche lotte che hanno forgiato la società come la conosciamo. Il passato si riflette sul presente: siamo a La Ciotat, in Francia, vicino a Marsiglia, e si ricordano gli scioperi dei lavoratori contro i padroni che volevano chiudere il cantiere navale. Si sentono gli echi di Brizé e della sua macchina da presa sempre dalla parte del più debole. L’identità di un Paese nasce dal rapporto delle istituzioni con i cittadini, dai diritti concessi o sottratti con la forza. E così si arriva alla violenza, vero cardine de L’atelier. Che cosa significa uccidere?
 
Gli scrittori lo raccontano nei romanzi, gli adolescenti impugnano una pistola per sentirsi forti e riversano la loro rabbia nella realtà virtuale, nei videogiochi dove la morte è a portata di click. Non è un caso che nei primi minuti del film lo spettatore venga proiettato sulle montagne di The Witcher 3, videogame famoso per le sue ambientazioni immense e per il grande arbitrio che viene concesso al giocatore. L’azione prende il sopravvento sulla parola. Si può ragionare insieme, confrontarsi, ma poi sono i gesti, anche piccoli, a determinare lo spirito dell’individuo. Non si possono dimenticare le vittime del Bataclan, la furia del terrorismo e le intolleranze che arrivano dalle ideologie più estreme.

 
“L’omicidio è a portata di mano, si può massacrare restando impassibili”, sembra sostenere il protagonista Antoine nel testo che legge ad alta voce. Il richiamo è a Lo straniero di Albert Camus, la vicenda di un impiegato di Algeri che con indifferenza si scopre assassino. In fondo anche L’atelier ha un’anima esistenzialista, di profondo straniamento verso la follia del contemporaneo. L’incoscienza porta i giovani a non dar peso a quello che li circonda, a reagire con rabbia invece di fermarsi a pensare. Quello di Laurent Cantet è un cinema che si prende cura dei propri personaggi, che crede ancora nella comprensione da opporre alla brutalità, che ci invita, senza retorica, a non trasformare il mondo in un inferno che ci condanna tutti.
 
In uscita il 7 giugno, L’atelier è distribuito da Teodora Film. Qui una clip esclusiva.
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