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La teoria del tutto – La nostra recensione

Un bravo Eddie Redmayne nel biopic di Stephen Hawking, che però cade in tutte le trappole del genere

La teoria del tutto

25.11.2014 - Autore: Marco Triolo
QUI POTETE LEGGERE L'INTERVISTA A EDDIE REDMAYNE.

Realizzare film biografici su persone ancora in vita o scomparse da poco è sempre rischioso. Ci vuole tempo per interiorizzare l'apporto che una figura storica ha avuto sulla società e crearsi così una prospettiva su di essa. Tempo che, nel caso di La teoria del tutto, non c'è ovviamente stato.

Il che è ironico, in un certo senso, perché uno dei temi chiave del biopic di Stephen Hawking diretto da James Marsh è proprio il tempo. Al protagonista vengono diagnosticati due anni di vita per via della malattia del moto-neurone (oggi meglio nota come SLA), dunque è a corto di tempo, e la sua tesi di laurea è sull'origine dell'universo e del tempo stesso. Quella che, nella vita reale, era probabilmente una curiosa coincidenza e niente più diviene qui il cuore stesso della storia. Quando Stephen decide finalmente di ricominciare a vivere dopo un breve periodo di reclusione in seguito alla diagnosi, entra nell'ufficio del suo relatore e, con sguardo fiero, pronuncia una sola parola: "Tempo". Naturalmente lui intende il tema della sua tesi, ma il pubblico è spinto a interpretare quella parola in tutt'altro modo.

Sta qui il grosso problema di La teoria del tutto: anziché far fluire una vita che parla da sé per il coraggio esemplare con cui è stata condotta e per le mete raggiunte, Marsh sceglie di tuffarsi in tutti i possibili tranelli dei peggiori biopic: vuole trovare un significato alto dietro a ogni sguardo, dialogo, movimento. Ogni scena è una scena chiave, i personaggi - perché personaggi sono, anche se "basati" su persone reali - dicono sempre la cosa giusta al momento giusto. Paradossalmente, nel suo tentativo di legare le vicende umane ai massimi sistemi, Marsh perde di vista i dettagli: non si capisce perché Hawking sia sopravvissuto così a lungo dopo quella diagnosi spietata e il suo genio è relegato a qualche battutina sparsa. Anche la messa in scena è confusa: la fotografia da melodramma d'epoca si sposa bene con l'inizio anni '60, ma poi resta invariata per tutto il film. Questo, e il pessimo trucco degli attori che sembrano non invecchiare, fa sì che diventi impossibile capire quanto tempo sia passato - altra nota ironica, visto il tema. A un certo punto Hawking viene dotato del computer che gli permette di parlare, ma l'ambientazione è così "vintage" che quell'elemento tecnologico risulta totalmente fuori posto.

Ed è un peccato, un vero peccato. Perché l'idea di raccontare la storia dal punto di vista della prima moglie di Hawking, Jane, era interessante. Il film è basato sulla sua autobiografia e viaggia per buona parte in equilibrio tra biopic classico, rom-com e dramma famigliare. "Dietro ogni grande uomo c'è una grande donna", si suol dire, e La teoria del tutto poteva essere un buon mezzo per provare almeno questa teoria. è un peccato anche perché gli attori ce la mettono tutta. Eddie Redmayne, vero protagonista nel biopic Marilyn e qui co-protagonista di un biopic che dovrebbe essere il suo, è abile nel trasformarsi a poco a poco nello Stephen Hawking che tutti conosciamo. Non deve essere facile per un attore rinunciare al movimento e alla parola, ma lui riesce a trovare un modo per comunicare con gli occhi e le limitate espressioni del viso. Felicity Jones, vera protagonista nei panni di Jane, poteva essere sfruttata meglio, ma dato il materiale fa anche troppo.

Se esiste una teoria su come realizzare un film biografico, è sicuro che La teoria del tutto non l'ha seguita. O forse ha semplicemente scambiato la lista dei "Do" con quella dei "Don't".

In uscita il 15 gennaio, La teoria del tutto è distribuito in Italia da Universal.