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La recensione de Il buco, l'horror Netflix che vi farà riflettere sulla pandemia

Il film di Galder Gaztelu-Urrutia è una metafora sulla lotta di classe e la responsabilità individuale perfetta per l'emergenza che stiamo vivendo

Il buco

25.03.2020 - Autore: Marco Triolo
Il regista Galder Gaztelu-Urrutia deve aver visto Snowpiercer di Bong Joon-ho e, al grido di “Sfida accettata”, deve aver deciso di rifarlo, ma in verticale. L'impressione che si ricava dalla visione de Il buco, da poco caricato su Netflix, è esattamente questa. C'è la stessa metafora sulla disparità delle classi sociali e sulla distribuzione delle risorse, c'è l'idea di fermare la ruota e modificare un sistema da sempre identico a se stesso.



La trama parla da sé: un uomo, Goreng (Iván Massagué), si risveglia in una prigione verticale. Sopra e sotto di lui livelli interminabili. I prigionieri vengono nutriti grazie a una piattaforma che procede di livello in livello, sulla quale è imbastito un enorme banchetto. Se tutti i carcerati prendessero solo quanto basta a sopravvivere, ci sarebbe abbastanza cibo per tutti. Ma non è così, ovviamente: chi sta in cima si ingozza, chi sta sotto muore di fame, e chi sta nel mezzo vivacchia.

Non ci sarebbe davvero bisogno di aggiungere altro: la metafora è palese e l'ambientazione verticale non fa che rendere didascalico il film laddove invece Snowpiercer era molto più raffinato (della media, anche se certamente meno rispetto ad altri film di Bong). Questo non impedisce a Gaztelu-Urrutia di confezionare comunque un thriller/horror rispettabile.



Prima di tutto perché, ancora una volta, rende evidente il distacco tra la Spagna e noi. Il buco è un film di genere che non teme di sprofondare in una violenza sia psicologica che visiva notevole. Il gore abbonda, tra litri di sangue, dettagli sadici, cannibalismo (parte della metafora, naturalmente) e secrezioni umane usate a volte in maniera sorprendente. È uno di quei film in cui i protagonisti discendono letteralmente in un inferno, portandone progressivamente i segni addosso. Finché, alla fine, non sono che l'ombra di ciò che erano.

Non è chiaro se la sua uscita su Netflix proprio ora sia un'incredibile coincidenza o frutto di una scelta deliberata. Fatto sta che, vedendolo in questi giorni, è impossibile non trovarci dei paralleli con il momento che stiamo vivendo. In particolare con il tema della responsabilità individuale, al centro di molte discussioni in queste settimane. Tutti noi tendiamo sempre a dare la colpa della nostra miseria a chi sta in cima, salvo poi dimostrare lo stesso individualismo ed egoismo quando ci viene data la possibilità di fare meglio. Prendersela con chi ci comanda ci deresponsabilizza e ci permette di giustificare le nostre azioni, anche le più abbiette. Ma evidentemente si tratta di un'illusione collettiva, come dimostra la nostra reazione al diffondersi della pandemia.



Tutto ciò non cambia il fatto che Il buco è un film tendenzialmente già visto, che si muove su un canovaccio talmente semplice e rispettato fino in fondo da non sorprendere mai davvero. Ogni tema, ogni spunto è sottolineato allo sfinimento: ad esempio, Goreng legge Don Chisciotte, tanto per ribadire quanto la sua sia una battaglia disperata. Eppure, nonostante una certa banalità, Il buco è un film coerente con se stesso, che non tentenna mai e per questo conduce lo spettatore fino in fondo senza annoiare.