Non sembrano quelle di una animazione le immagini che vediamo scorrere sullo schermo sui titoli di testa, eppure… È solo la prima delle sorprese che riserva La mia vita da zucchina diretto da Claude Barras e scritto dal Céline Sciamma di Tomboy. Ma limitarsi a sottolineare la bellezza essenziale dello 'Stop Motion' con cui è realizzata la storia sarebbe fare un torto al film e sviare l'attenzione dai suoi meriti maggiori…
Non capita spesso, infatti, di trovare tanta dolcezza e colori nella storia di un orfano - per altro, seppur involontario, responsabile della morte della propria madre - che solo, pressoché nullatenente e inaspettatamente sradicato, è costretto a trasferirsi in una casa con altri ragazzi come un novello Pip. Ma Zucchina - cosi' si chiama il piccolo protagonista - non rinuncia a quel poco di passato 'suo', sin dal titolo, che vale una dichiarazione, una ostinata definizione di identità, che mantenga l'unico legame rimasto con una famiglia più immaginata che reale, fatta di un padre appassionato di galline (come Zucchina rilegge le sue "pollastrelle") disegnato su un aquilone e del ricordo della madre affidato a una lattina di birra vuota.
Sono 'tesori' ben diversi da quelli che ci aspetteremmo in un film per bambini, ma gestiti con una autenticità tale che difficilmente allontaneranno il pubblico, anzi, facilitato a empatizzare con i giovanissimi eroi. Una armata capace di amore, di giocare sulle ceneri di un passato tanto breve quanto da dimenticare, di genitori tossicodipendenti, rapinatori, immigrati espulsi dal Paese, molestatori… Una piccola comunità di 'innocenti' rassegnati a non avere "nessuno che ci voglia bene", ma in grado di decontestualizzare ogni bruttura.
Al netto di una serie di scene inevitabilmente comiche o tenere (dalle teorie sul sesso al 'Meteo' umorale, fino alla scansione temporale dei segni sul muro, testimonianza di dolori incancellabili, ma anche di un nuovo inizio, anche per gli adulti), da questo malinconico melange di realtà e fantasia messo in scena con equilibrio, grazia e creatività emerge una diversa normalità, che forse proprio il pubblico adulto avrà difficoltà ad accettare. Una routine della quale potremmo vergognarci, incapaci di ammettere come possa apparire il nostro quotidiano agli occhi di un decenne. A volte, molto più capace di leggerlo e onesto nell'interpretarlo, senza bisogno di troppe parole. Di certo, più capace di parlare la lingua dei suoi coetanei, in maniera più diretta di quella cui il cinema - di animazione, soprattutto - spesso ci ha abituato.
A uscirne vincitori sono dunque, ovviamente, i bambini. Ma da quel mondo qualcosa di buono può venire. Dai dettagli, le ombre e i colori che per una volta invece di sfuggire vengono evidenziati dall'essenzialità delle scene, e dei disegni di Zucchina… Il cui vero nome, non a caso, è Icaro. Colui che guardava il cielo sognando, e che finì per costruirsi delle ali per raggiungerlo. In questo caso, per fortuna, non ci sarà il rischio di avvicinarsi troppo al sole, ché il calore verso cui il finale del film ci conduce è quello meritato e forse previsto di un esito auspicato e non troppo conciliatorio nel suo risolvere una serie di solitudini contrapposte con una soluzione solo apparentemente semplice.
Non capita spesso, infatti, di trovare tanta dolcezza e colori nella storia di un orfano - per altro, seppur involontario, responsabile della morte della propria madre - che solo, pressoché nullatenente e inaspettatamente sradicato, è costretto a trasferirsi in una casa con altri ragazzi come un novello Pip. Ma Zucchina - cosi' si chiama il piccolo protagonista - non rinuncia a quel poco di passato 'suo', sin dal titolo, che vale una dichiarazione, una ostinata definizione di identità, che mantenga l'unico legame rimasto con una famiglia più immaginata che reale, fatta di un padre appassionato di galline (come Zucchina rilegge le sue "pollastrelle") disegnato su un aquilone e del ricordo della madre affidato a una lattina di birra vuota.
Sono 'tesori' ben diversi da quelli che ci aspetteremmo in un film per bambini, ma gestiti con una autenticità tale che difficilmente allontaneranno il pubblico, anzi, facilitato a empatizzare con i giovanissimi eroi. Una armata capace di amore, di giocare sulle ceneri di un passato tanto breve quanto da dimenticare, di genitori tossicodipendenti, rapinatori, immigrati espulsi dal Paese, molestatori… Una piccola comunità di 'innocenti' rassegnati a non avere "nessuno che ci voglia bene", ma in grado di decontestualizzare ogni bruttura.
Al netto di una serie di scene inevitabilmente comiche o tenere (dalle teorie sul sesso al 'Meteo' umorale, fino alla scansione temporale dei segni sul muro, testimonianza di dolori incancellabili, ma anche di un nuovo inizio, anche per gli adulti), da questo malinconico melange di realtà e fantasia messo in scena con equilibrio, grazia e creatività emerge una diversa normalità, che forse proprio il pubblico adulto avrà difficoltà ad accettare. Una routine della quale potremmo vergognarci, incapaci di ammettere come possa apparire il nostro quotidiano agli occhi di un decenne. A volte, molto più capace di leggerlo e onesto nell'interpretarlo, senza bisogno di troppe parole. Di certo, più capace di parlare la lingua dei suoi coetanei, in maniera più diretta di quella cui il cinema - di animazione, soprattutto - spesso ci ha abituato.
A uscirne vincitori sono dunque, ovviamente, i bambini. Ma da quel mondo qualcosa di buono può venire. Dai dettagli, le ombre e i colori che per una volta invece di sfuggire vengono evidenziati dall'essenzialità delle scene, e dei disegni di Zucchina… Il cui vero nome, non a caso, è Icaro. Colui che guardava il cielo sognando, e che finì per costruirsi delle ali per raggiungerlo. In questo caso, per fortuna, non ci sarà il rischio di avvicinarsi troppo al sole, ché il calore verso cui il finale del film ci conduce è quello meritato e forse previsto di un esito auspicato e non troppo conciliatorio nel suo risolvere una serie di solitudini contrapposte con una soluzione solo apparentemente semplice.