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La Guerra di Mario

Un bambino difficile, un'odissea formato famiglia (di fatto) vibrante di contrasti e segni forti, una storia vera. A contatto diretto con la vita, che si cala nella vita e la scortica

La guerra di Mario

12.04.2007 - Autore: Francesco Persili
Regia: Antonio Capuano
Cast: Valeria Golino, Andrea Renzi, Marco Grieco, Anita Caprioli

Mario ha nove anni. E’considerato un ”bambino difficile”. Il Tribunale dei Minori l’ha sottratto alla sua famiglia naturale per affidarlo temporaneamente ad una coppia di quarantenni. Lei, docente di storia dell’arte, lui, giornalista tv. Convivono insieme da due anni, senza figli, senza troppe responsabilità. Mentre Giulia, che ha l’espressione intensa e l’inquieta sensibilità di Valeria Golino, si innamora della sua nuova condizione di madre putativa, riscoprendo entusiasmi dimenticati, e un lato nuovo della sua complicata femminilità, Sandro, che di Andrea Renzi ha faccia e modi da bravo ragazzo caro a mammà, si sente escluso. Di fronte all’ostilità del bambino ammette di non essere all’altezza del compito: ”quello mi destabilizza, mi procura ansia”. Quello è Mario, uno dei tanti bambini perduti di periferia, un’infanzia bruciata in cerca di un’altra possibilità. Divelto dalla sua trincea di cemento e degrado, si finge abitante di un altro pianeta. Si lega ad un cane randagio, Mimmo. Condivide insieme all’amichetto-scugnizzo Luciano linguaggio, motivazioni e vita da strada pur di non avvertire il senso d’estraneità all’ambiente borghese nel quale si trova all’improvviso catapultato. Non se la sente di chiamare mamma Giulia perché ”non la conosco, non m’appartiene”. Dà libero sfogo ad istinti crudeli e manie autodistruttive come quella di attraversare con il rosso. Finisce per chiudersi dentro codici da videogioco. Nella sua realtà immaginaria in bianco e nero,tra fantasie di violenza, a combattere una personalissima ”guerra”.

Ha l’architettura di una storia vera e notevole forza narrativa questo bel film di Capuano. Frugale, disadorno, scabro. Una prova d’autore, alla maniera di ”Pianese Nunzio,14 anni a maggio”(1994), una messa in forma coraggiosa dopo”Luna Rossa”(2001). All’insegna di un realismo mondato da ogni pretesa pedagogica e formale. Fotografia spoglia,luce metallo, nessun virtuosismo tecnico. A contatto diretto con la vita, che si cala nella vita e la scortica. Un’odissea formato famiglia (di fatto), con un impianto forse un po’ troppo schematico, ma vibrante di contrasti e segni forti. Come questa Napoli, polarizzata tra le magnolie e i gerani di Posillipo e le colorate miserie di Ponticelli, indagata ancora dal regista nei suoi angoli riposti, fuori cartolina, nei suoi non-luoghi, che fa sentire la vitalità delle sue contraddizioni attraverso corpi e volti, rumori e musica. Transavanguardie ed esistenze sgarrupate. Desideri ingenui e sofferenze antiche. L’irreversibilità del destino di ”certi bambini” cresciuti in fretta, e male, che ”più che educati vanno solo accolti”. Capuano squaderna argomenti diversi, trame complesse e fragili. Il problema degli affidi e l’inadeguatezza di una donna di fronte alla maternità, ché ”avere un figlio è complicato,ogni nascita coinvolge sempre tre generazioni”. Coglie gli automatismi di certa psicologia e si fa beffe, con vago spirito sessantottardo, della scuola che costringe al silenzio i suoi sudditi, sia pur indulgendo in qualche manicheismo di troppo (”la scuola è un carcere, il carcere, una bella scuola”). Racconta delle distanze sociali e dell’incomunicabilità tra quartieri della stessa città, spaccati di culture e mondi inconciliabili. Attraversa affetti,debolezze,modelli di educazione differenti. Prende Giulia, una possibile madre adottiva, idealista, permissiva, madre a tempo pieno, e la contorna di figure(il compagno, la psicologa, il giudice) che non comprendono la sua scelta convinti della irrinunciabile necessità del rischio educativo. Il film complessivamente tiene, sorretto da un cast davvero ben assortito, e da uno svolgimento che fa cronaca, non pedagogia. Piuttosto che dare lezioni dissemina dubbi, preferendo al condizionamento dei giudizi, la verità dei fatti, dei tagli obliqui, del disordine sentimentale.