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La febbre

Tre anni dopo il grande successo di "Casomai" torna sullo schermo la coppia D'alatri-Volo con una storia piccola ma poetica.

La febbre

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Regia di Alessandro D’Alatri; con Fabio Volo, Valeria Solarino

Cremona, oggi. Il giovane Mario (Fabio Volo) ha in testa molte idee, ma non troppe energie per concretizzarle. Insieme agli amici vuole aprire un locale alla moda, e si sta dando da fare con la giunta comunale per tutte le pratiche burocratiche. E proprio in comune, un po’ a sorpresa, Mario viene assunto; da quel momento il ragazzo si troverà a confrontarsi con l’ipocrisia ed il perbenismo del sistema statale, personificato da un capo invidioso ed ottuso: pian piano tutte le certezze e l’ottimismo del ragazzo iniziano a scontrasi con i compromessi, le falsità e le vessazioni del superiore. In questo periodo di cambiamento e di incertezza conosce però Linda (Valeria Solarino), una studentessa solare e briosa, capace di infondergli le nuove energie necessarie per tirare avanti e provare a realizzare i suoi sogni. E sarà proprio la ventata di novità portata dall’amore della ragazza a mettere in discussione tutte le sue  – poche – certezze.

Più che deludere, questo film lascia quantomeno sconcertati. A prescindere dalla messa in scena del film, che è comunque più che dignitosa – anche se a tratti incoerente – , a mio avviso “La febbre” parte con un macroscopico errore di fondo: racconta infatti una vicenda talmente “piccola” e poco significativa da essere in alcuni momenti quasi irritante. Perché D’Alatri, Volo e tutti gli altri hanno voluto realizzare una pellicola la cui storia è più attenta ad essere gentile e poetica che a raccontare qualcosa di realmente concreto? Perché in Italia i film considerati migliori non hanno mai una struttura narrativa “forte”, drammatica, in grado di interessare non soltanto con le belle immagini o con i momenti sdolcinati, ma anche con una trama e dei personaggi ben costruiti? Insomma, questo cinema tutto infiocchettato di buoni sentimenti, ma senza nessuna pretesa, alla fine non ci sembra andare da nessuna parte: magari in un paio di scene si ride, ma francamente tutto finisce lì; magari poi la confezione del film è piacevole, la musica azzeccata, Fabio Volo è simpatico e la Solarino radiosa, ma tutto questo poggia sul nulla, e perciò ovviamente non può bastare. Se in un film che vorrebbe testimoniare il disagio giovanile nella società italiana, il massimo momento di spinta ideologica è quando il protagonista in sogno restituisce la carta d’identità al presidente della repubblica, allora stiamo messi davvero male…
Alessandro D’Altri poi vi aggiunge una regia che in alcuni momenti si inerpica in un virtuosismo tecnico ed estetico che non ha nessun motivo di coesistere con una storia così comune, e crea, soprattutto nella prima parte, uno scarto che non sembra avere un senso ben preciso: non sono i bei movimenti di macchina o effetti digitali spiritosi a comporre lo spessore di un film, ma soprattutto la sua storia. Se si hanno dei personaggi sfaccettati, una sceneggiatura che poggia su snodi narrativi  efficaci, un’idea precisa di cosa si vuole raccontare, probabilmente poi non servirà poi neppure muoverla, la macchina da presa, per coinvolgere chi guarda…

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