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King Kong

Poetico, meraviglioso ma strabordante, Kong è il lungometraggio più interessante e poderoso dell'anno. Spettacolo visivo di una bellezza che arriva a stordire, il film possiede anche una fortissima componente emotiva, data da una sorprendente serie di sottotesti tutti da scoprire

King Kong

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Regia di Peter Jackson
con Naomi Watts, Adrien Brody e Jack Black

Per poter recensire con lucidità questo nuovo lavoro di Peter Jackson si deve prima di tutto avere chiara una questione: ci troviamo alle prese con uno dei film più complessi, stratificati e mastodontici degli ultimi anni, per certi versi anche più della trilogia de “Il signore degli anelli” (Lord of the Rings, 2001). L’autore ha creato infatti la sua opera più sentita e personale,e nel farlo vi ha inserito una quantità talmente elevata di informazioni, rimandi, sottotesti e metafore, da renderla un’autentica “summa” del suo discorso prima poetico e poi estetico.


Quello che maggiormente colpisce infatti di “King Kong” è la profondità e la pregnanza di quello che si riesce a leggere dietro la sontuosa spettacolarità della messa in scena; il suo pregio maggiore è senza dubbio la sceneggiatura di Jackson, Walsh e Boyens: raramente si è visto un film di tali dimensioni produttive possedere anche una tale complessità nel tratteggiare i personaggi, a partire dalla protagonista. Potrebbe sembrare un paradosso, ma i momenti in cui la pellicola convince maggiormente sono proprio quelli più introspettivi e “patetici”, in cui si esplica con dolcezza e puntualità il rapporto tra la bella e la bestia. Valore aggiunto a questo discorso di introspezione è anche la grande interpretazione di Naomi Watts, perfetta in un ruolo di enorme spessore fisico e psicologico.

La volontà esplicita e precisa di essere il “film-contenitore” dell’intera idea jacksoniana risulta però anche il limite di “King Kong”: il film infatti risente piuttosto pesantemente di questo sovraccarico di materiale, che ne limita la fluidità appesantendolo più del dovuto. Un difetto della pellicola è a nostro avviso il montaggio, che non riesce quasi mai a fornire all’opera un ritmo narrativo cadenzato: soprattutto la parte centrale, ambientata sull’isola selvaggia, è un roboante susseguirsi di scene spettacolari, troppo lente nel partire e poi eccessivamente lunghe e ripetitive nella loro strutturazione.
Anche Jackson non riesce poi bene a dosare la sua innata tendenza alla visionarietà: regala a “King Kong” un impianto visivo di inimmaginabile bellezza – la sequenza finale è cinema puro! – ma in molti momenti sembra perdere il controllo della sua creatura, sciogliendo troppo le briglie dell’immaginazione e dello spettacolo. Pure la sua “immedesimazione” nel ruolo del regista titanico Crl Denham/Jack Back nella prima parte è contenuta e stuzzicante, mentre dopo diventa esagerata ai limiti dell’ingiustificato grottesco.

Poetico, meraviglioso ma strabordante, “King Kong” è senza dubbio il lungometraggio più interessante e poderoso dell’anno, sia nei suoi molti pregi che nei difetti. Spettacolo visivo di una bellezza che arriva a stordire, il film possiede anche una fortissima componente emotiva, data da una sorprendente serie di sottotesti tutti da scoprire. Quello che alla fine ne viene fuori è davvero un “monstrum” avvincente, e soprattutto una sincera testimonianza d’amore di questo cineasta per il proprio lavoro.