NOTIZIE

Jarhead

Spigliato, molto divertente, forse un po' troppo ambiguo nel voler mescolare una serie di contenuti tra loro molto eterogenei, 'Jarhead' si segnala come uno dei film più interessanti di quest'inizio di anno

Jarhead

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Id., Usa, 2005.
Regia di Sam Mendes;
con Jake Gyllenhaal, Peter Sarsgaard, Jamie Foxx, Chris Cooper

“Non torneremo mai più in questo posto!” grida un soldato festante per la fine della prima Guerra del Golfo. Basterebbe questa battuta – tra l’altro pronunciata da una semplice comparsa – a fare di “Jarhead” un piccolo grande cult di comicità grottesca. Ed invece il nuovo film di Sam Mendes è anche molto altro, anche se spesso il film non riesce ad esplicitare pienamente le sue intenzioni.

Ma partiamo dal principio: l’impressione che si ha alla fine della visione di questa pellicola è che la sua anima più profonda sia sinceramente antimilitarista. Mendes mette in scena l’assurdità della guerra – o meglio, di quella guerra – rivelandone il principio di spersonalizzazione subìto dai soldati semplici: la solitudine, l’attesa, la monotonia dei giorni tutti uguali e del deserto. La parte centrale di “Jarhead” si trasforma quasi in una commedia surreale, in cui invece del conflitto assistiamo alla sua totale mancanza, che porta i soldati alla disillusione prima, al sarcasmo ed alla ribellione poi. In più di un momento la feroce ironia di fondo che pervade il film, soprattutto nella figura del suo protagonista, sembra rimandare alle migliori opere degli anni ’70, come ad esempio il grande “Mash” (M.A.S.H., 1970) di Robert Altman o “Comma 22” (Catch-22, 1970) di Mike Nichols.

La storia è incentrata sulle vicende reali del marine Anthony Swofford – un Jake Gyllenhaal sempre più convincente -, ma nelle mani sapienti di Mendes si trasforma ben presto in una parabola allucinata e tagliente, confezionata in un’opera di enorme spessore filmico: dalle musiche al montaggio, passando per la fotografia accaldata del grande Roger Deakins, tutto in “Jarhead” contribuisce a innalzare il livello della visione. Dove a nostro avviso il film perde d’impatto è nella seconda parte, quando inizia ad illustrare lo spirito di cameratismo che si sviluppa tra i soldati semplici e che in qualche modo smorza la vena iconoclasta del messaggio interno all’opera. “Jarhead” scivola così verso la retorica in più di un’occasione man mano che la vicenda di Swofford arriva a compimento. Sembra quasi che Mendes non se la sia sentita di spingere fino in fondo il pedale dell’acceleratore, ed abbia voluto inserire nel lungometraggio una sotto-trama più conciliatoria: la sceneggiatura di William Broyles alterna infatti scene di bruciante sapidità antimilitarista ad altre in cui il patriottismo dei soldati rende lo spirito dell’opera più “conservatore”.

Spigliato, molto divertente, forse un po’ troppo ambiguo nel voler mescolare una serie di contenuti tra loro molto eterogenei, “Jarhead” si segnala come uno dei film più interessanti di quest’inizio di anno. Un’opera destinata a far discutere, e soprattutto a non mettere d’accordo la critica. Quello che di certo non è discutibile è il valore assoluto della sua confezione: dopo “Americn Beauty” (Id., 1999) ed “Era mio padre” (Road to Perdition, 2002), Sam Mendes si conferma uno dei migliori registi della nuova generazione hollywoodiana.
FILM E PERSONE