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Il segreto di una famiglia, la recensione del nuovo film di Pablo Trapero

Il ritratto di una nazione lacerata, il confronto con la Storia, i sentimenti in crisi. Con Bérénice Bejo

Pablo Trapero

04.07.2019 - Autore: Gian Luca Pisacane
Amor inquieto, amor drogado, amor completo. Lo canta la bella cilena Mon Laferte nel nuovo film argentino di Pablo Trapero. La Quietud, recita il titolo originale (da noi Il segreto di una famiglia), che è il nome di una hacienda, un buen retiro, dove la storia di una nazione si confronta con quella di molte generazioni. A legarle sono gli affetti malati, un po’ come se fossimo ancora ne Il Clan. E di quiete c’è poco o nulla.

Lunghe tavole imbandite, corridoi senza fine, splendidi panorami: la borghesia viene descritta attraverso la ricchezza. Si sorride davanti a un buon bicchiere di vino, ci si nasconde dietro l’ipocrisia. Trapero descrive una classe dirigente che si è formata sulle spalle degli ultimi, sul dolore delle vittime della dittatura: l’Argentina patriarcale, quella dei generali, della libertà perduta.



La famiglia di Trapero è lo specchio del Paese. Il padre è in cima alla catena del potere, e impone le regole. È lui a “richiamare” i figli al suo capezzale, come nel bellissimo La casa sul mare di Robert Guédiguian. La madre benestante è sottomessa, le due sorelle si attraggono, si respingono e in qualche modo si amano, condividendo anche le passioni. Non manca anche una sequenza quasi soft porn. È come se dopo Videla, il colpo di Stato, il regime, non potesse più esistere un’Argentina innocente.

L’ambiguità e l’intreccio più oscuro dominano il quotidiano, mentre i puri cercano ancora di far giustizia. Ma i tribunali non bastano, le sentenze sono solo carta. Il problema è l’anima del popolo, lo spirito corrotto dei carnefici, il terrore di chi ha guardato in faccia la violenza. Si scrive La Quietud, si legge Argentina. Trapero dipinge un affresco conturbante, realizzato con lunghi carrelli, toni a volte grotteschi. Al funerale del nonno non si piange il corpo, ma la patria.

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Forse nella seconda parte l’accumulo di situazioni sminuisce la forza del racconto, e la metafora finale verrà colta solo dai palati più fini. Pretenzioso? A tratti, e di sicuro Il segreto di una famiglia non è incisivo come era stato Il Clan, una rivisitazione in chiave politica dei gangster movie di Scorsese. Ma è difficile trovare un regista che oggi sia in grado di riflettere sulle ferite del passato attraverso il melodramma, attraverso i legami perversi tra pubblico e privato. Sono tante le tematiche affrontate: tradimento, rancore, condivisione, tragedia…

Assistiamo a un’ipertrofia narrativa, che affascina nella sua imperfezione. Si scaglia contro le anime candide, sfiora l’incesto, abbraccia l’omicidio, la poligamia. Ma Il segreto di una famiglia non è un capriccio d’autore. Guarda a Il Clan per poi lanciarsi nella televisione, ammicca alla “soap” per poi adottare un linguaggio più tagliente. La malattia cede il passo al lutto, la giovinezza sfocia nell’impossibilità di fermare l’andare degli anni, mentre la verità viene a galla in un oceano di menzogne. Presentato fuori concorso nel 2018 alla Mostra di Venezia.