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Il popolo migratore

Il popolo migratore

Il popolo migratore

14.04.2003 - Autore: Giulia Villoresi
Di Jacques Perrin; co-diretto da Jacques Cluzaud e Michel Debats   "Dove vanno d'inverno le anatre di Central Park quando il laghetto si ghiaccia?" si domandava il Giovane Holden. Probabilmente in Normandia, avrebbe scoperto, se allora avesse saputo dei lunghi viaggi del Popolo Migratore. Jacques Perrin nel suo film ci mostra proprio questo. La moltitudine degli uccelli, la migrazione e i suoi cammini celesti, la partenza e la promessa del ritorno. Un intreccio di rotte che si lanciano sulle distese ghiacciate dell'Alaska fino al Perù, sfrecciando davanti a Manhattan e attraversando la Senna, fino al Kenya, virando improvvisamente per la Libia e oltre, coprendo distanze infinite, passando dall'emisfero australe a quello boreale, a volte senza fermarsi un istante. La lavorazione del film è durata ben quattro anni. Una vera impresa. Piloti, operatori e più di cinquanta ornitologi hanno dovuto seguire il ritmo instancabile e le mille tappe di 25 razze di uccelli. Hanno dovuto allevarli, pedinarli, abituarli alla loro presenza in cielo e capirli sulla terra come sull'oceano, sulla neve come nel deserto, e il risultato è una pellicola viva, che si distacca decisamente dal genere didascalico del documentario. Le immagini aeree si librano nel cielo con una leggerezza quasi autonoma, talmente naturale che ci si dimentica di stare osservando il volo attraverso una cinepresa. La fotografia si avvicina in alcune riprese all'illustrazione, come nelle acrobazie tra le stelle, gli arabeschi del ghiaccio, i pinnacoli delle vette. Si entra in un universo soprannaturale che evoca la favola, il meraviglioso. E fiabesca è la colonna sonora, montata con i rumori delle tempeste, del mare, del vento, del canto. La danza della gru nella taiga siberiana, accompagnata dal suono gentile di un sintetizzatore, riesce a trasmettere tutta la poesia di un'immagine simile. In questo film i rumori riescono a sostituire il dialogo. Tra la musica e i movimenti degli uccelli c'è una sincronia semplice, pulita, affascinante. Si vedano tra le tante tre immagini in particolare: dei pinguini imperatori avanzano verso l'oceano in un tramonto quasi bianco: camminano sul ghiaccio e via via che si avvicinano al sole sembrano prendere sembianze umane. Quando raggiungono la riva ormai sono ombre; i loro corpi oscillano e sembrano chinarsi al cielo come una calca di uomini in preghiera. Nelle isole Malouines un enorme albatros distende le ali verso l'aurora, lento, concentrato, come una sentinella dinanzi alla pianura. Più di cinquecento pulcinella di mare sentono un fruscio e si voltano tutti insieme, nello stesso istante, in un movimento coordinato come un passo di danza. Di fronte ad un viaggio così suggestivo non è fondamentale che il risultato tecnico sia impeccabile, come ammette lo stesso regista. "Il popolo migratore" ci consente di non aspettare più le stagioni, ma di abbandonare per una volta quel punto di osservazione da cui per secoli abbiamo dovuto guardare gli uccelli: la terra.
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