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Il nuovo mito del samurai

Stiamo assistendo negli ultimi mesi all'ascesa di un nuovo ciclone cinematografico: il samurai. Dopo Tarantino e Kitano sta per uscire "L'Ultimo Samurai". Il fenomeno non può essere ignorato, anche perché più che una moda questa passione giapponese sembra essere una nuova necessità culturale.

Last Samurai

12.04.2007 - Autore: Giulia Villoresi
Dopo la lunga egemonia della sparatoria sembra che il cinema abbia bisogno di un nuovo paradigma di violenza. La carneficina delle armi da fuoco ha stancato il pubblico con il suo fragore sconclusionato, gli assassini ci propongono sempre le stesse cose così come gli eroi, e il nostro bisogno di assistere alla morte si perde nella ormai ben nota confusione dei proiettili. Con la katana invece, risorge la morte mitica. La lama che fende un corpo come se fosse burro è un gesto limpido e inconfondibile che riporta in vita l'essenza stessa del morire, e i fiotti di sangue che ne sgorgano sono la prova inconfutabile di essa. Ci ha stancato la linea così netta che fin'ora ha diviso il bene dal male. I vari agenti virtuosi e spietatissimi criminali seguono entrambi l'etica del buono e del cattivo, ma la redenzione del cattivo non spiazza e l'inganno del buono non turba. C'è bisogno di una nuova morale che affondi le sue radici su concezioni inesplorate: è la dottrina di un codice a noi ignoto. Ed è così che risorge dalle ceneri di Kurosawa il mito del samurai.   Il samurai possiede onore e integrità, non misericordia e giustizia, requisiti che invece sono necessari nell\'eroe occidentale. Il samurai non deve essere buono ma inflessibile, la pietà deve essere sottoposta al suo obiettivo e le uniche possibilità che può contemplare sono la vita oppure la morte. Quest\'estremismo deontologico porta con sé una poetica a noi sconosciuta che non descrive soltanto un valore morale ma un valore profondamente estetico. È un valore che possiede il fascino dei costumi che non si evolvono e la cura ossessiva per alcuni particolari. I kimono e i copricapo giapponesi conservano il loro significato rarefatto in un mondo che continua a cambiare, così come gli antichi gesti del combattimento descrivono da secoli le stesse traiettorie senza mutare di una virgola. Il compiersi di questi gesti rappresenta non solo un mistero orientale ma un culto artistico a cui la nostra sensibilità così abbrutita non può che cedere. Nei combattimenti samurai che descrivono i film che ultimamente hanno popolato le nostre sale l\'eccidio è quasi poetico e il fiume di sangue che schizza dai corpi mutilati oltre al fascino del grottesco sembra avere una qualche imperscrutabile motivazione. La solennità di alcune imprese non ci fanno più sghignazzare come a volte accade di fronte al colossal americano perché sono giustificate da un contegno di per sé alterato. Il contegno del samurai di fatti non può essere ridicolo poiché supera esso stesso il ridicolo.   Tutto questo sembra essere il nuovo gusto del pubblico, e quando il pubblico esige il cinema obbedisce. C\'è da chiedersi se davvero questa nuova forma cinematografica saprà inserirsi nel gusto comune e se davvero siamo pronti ad accoglierla.  
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