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Il nome del figlio - La nostra recensione

Francesca Archibugi e il produttore Paolo Virzi mettono in scena un teatro fin troppo noto

18.01.2015 - Autore: Mattia Pasquini
Tutto nasce da Cena tra amici, film del 2012 di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte (autori anche della omonima e originaria pièce teatrale), eppure non si direbbe tanto Il nome del figlio di Francesca Archibugi appare un film 'vicino' piu' che personale (che, comunque, e') alla regista romana e a un contesto fin troppo noto ai suoi concittadini e connazionali.

Dal salotto parigino alla terrazza che rimanda a tanta commedia italiana degli ultimi decenni il passo e' piu' ampio della trasposizione fattane da Francesco Piccolo, e non solo per gli inevitabili cambiamenti rispetto al riferimento, ma per quello che sembrano sottendere. E per fortuna, che' in fondo i battibecchi borghesi originali sarebbero rimasti piu' noiosi delle sfumature radical chic della nuova versione.



Piu' caratterizzati i personaggi, anche a costo di macchiettizzazioni e caricature che non aiutano il tono generale delle interpretazioni (sentite e a tratti apprezzabili, ma con qualche scivolone), tra i quali - stavolta - emergono maggiormente le donne, soprattutto la 'aliena' Micaela Ramazzotti, star borgatara sottovalutata ma che incornicia il film tra due estremi (perfettamente in tono col loro esser sinonimo di eccessi) emblematici dell'evoluzione di un film molto femminile pur se scritto da un uomo. Troppo, soprattutto in una elegia muliebre nella quale spesso il cinema italiano indulge.



Francesca Archibugi e' certo molto sensibile, anche nel suo pubblico, e impegnata in questo senso, ma stavolta forse insistere tanto sul valore salvifico e la superiorita' emotiva e relazionale della donna risulta stucchevole e finisce per essere uno stereotipo di piu' di quello che e' stato definito il 'Carnage' italiano, ma che non mostra la stessa carica tagliente. In compenso, sempre rispetto al cugino francese, si 'esce', si supera il limite, e il respiro dei dialoghi e' maggiore.



Ma forse e' solo il fatto che a Roma e' difficile ambientare un film restando chiusi tra quattro mura. Siamo portati 'fuori', in 'questo mondo di ladri' dove, sempre come cantava un artista locale, "c'e' ancora un gruppo di amici, che non si arrendono mai"; o che non han fatto che arrendersi, o che magari si son accorti tardi di averlo fatto.

Di certo non e' la prima volta che ci viene fatto presente, raccontando un certo tipo di vita, di personaggi - che l'autrice ha voluto descrivere come "ritratti rinascimentali in movimento" - e di ambiente… Gli eredi dei salotti, gli ossessionati dal politically correct, gli 'Intellettuali' e borghesi che vivono in "quartieri di drogati e di immigrati". Anche se nel racconto catartico della regista si sconta molta autoreferenzialita', come se - in un momento difficile della propria vita - abbia voluto aggrapparsi a quello (e quelli) che conosceva meglio per sentirsene rassicurata e per raccontarli senza rischiare. Ma si resta solo vicini al risultato, eppure lontani dal condividere l'urgenza di rappresentare ancora questo mondo. Con la stessa distanza - geografica e sociale - che c'e' tra le zone che il film mostra (o dice di mostrare) di Roma, come il Mandrione e il Pigneto…


Il nome del figlio, in uscita il 22 gennaio 2015, e' distribuito da Lucky Red