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I, Tonya, recensione: il biopic è fuori dalle righe con Margot Robbie

Raccontare la storia della controversa pattinatrice americana con una formula da black comedy anticonvenzionale: operazione riuscita 
   

I, Tonya

I, Tonya

30.10.2017 - Autore: Alessia Laudati (Nexta)
Craig Gillespie dirige un biopic non conforme al genere sulla vita della pattinatrice americana Tonya Harding. Un film che è privo fin dall’inizio di due degli aspetti principali che caratterizzano di solito il genere: la linearità del racconto e l’epica trionfale con la quale sono normalmente celebrate le gesta dei protagonisti delle pellicole biografiche. Questi ultimi sono mediamente ritratti come supereroi tra i normali o uomini giustificabili di tutto per via del loro genio.



I, Tonya invece è un film che pur raccontando con verosimiglianza la storia della campionessa outsider del pattinaggio e coinvolta nello scandalo dell’aggressione della collega Nancy Kerrigan, riesce a farlo con uno stile anticonformistico, ritmato e brillante che non annoia. Il film si basa esclusivamente sul materiale raccolto nelle due interviste che lo sceneggiatore Steve Rogers ha condotto con la Harding e l’ex marito Gillooly e che fungono da testo di partenza per una commedia scorretta, adrenalinica ed estremamente divertente. Perché lo scopo del film è ritrarre lo spassoso ensemble di un gruppo di disadattati redneck che finiscono per rovinare l’unica possibilità che il caso ha offerto loro di uscire fuori dall’oblio della dura provincia americana dove sono cresciuti. Ossia il talento di Tonya, puntualmente attentato, sciupato e rovinato da questo manipolo di personaggi impresentabili, violenti ed approfittatori.



Ci si diverte tantissimo a vedere questa dramedy nera dove non c’è alcun giudizio morale sulle azioni di ogni personaggio. Dalle molestie della madre perfida Lavona (Allison Janney) su Tonya, alle violenze del marito di Tonya Jeff (Sebastian Stan) e fino al racconto della scorrettezza della pattinatrice stessa, non pesano interpretazioni moralistiche o giustificatorie. Al contrario, è proprio l’assurdità di una vita così anomala l’aspetto principale sul quale insistono il regista e lo sceneggiatore. L’unico rimprovero che viene accennato sullo sfondo non è alla fine rivolto ai personaggi, ma verso il tritacarne mediatico che finisce per travolgere Tonya. Non critiche alle persone insomma, ma al sistema, alla forza della moltitudine che opprime e giudica. Proprio la critica al sistema mediatico e al suo atteggiamento sullo scandalo Harding, rappresentano la considerazione maggiormente banale di un film altrimenti sempre divertente, per nulla prevedibile e che non fa rimpiangere la qualità delle produzioni ad alto budget. Margot Robbie è poi unica nel trasformare il proprio sguardo angelico in un’espressione arrabbiata e vagamente folle per interpretare un personaggio che somiglia pericolosamente alla Harley Quinn di Suicide Squad. Francamente il film è poi anche una boccata d’aria in un momento storico – quello dominato dallo scandalo Weinstein - nel quale il tema della violenza sulle donne è trattato attraverso una prospettiva che ha tutte le ‘pesantezze’ – per quanto giustificate - di una lettura puramente ideologica. Qui di dottrinale sul tema c’è poco e nulla. Infatti si ride dimenticando per un po’ l’orrore di una vita difficile come quella di Tonya e godendo del grande spettacolo esagerato che Gillespie mette su per noi.