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I giorni dell'abbandono

Presentato in Concorso a Venezia e poco apprezzato dalla critica, esce nelle sale il film di Faenza con Margherita Buy e Luca Zingaretti

i giorni dell'abbandono

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Italia, 2005.
Regia di Roberto Faenza;
con Margherita Buy, Luca Zingaretti, Goran Bregovic, Gaia Bermani Amaral


Se, come sembra, la necessità di premiare/valorizzare/aiutare il nostro cinema ha portato alla scelta “ecumenica” di consegnare a Giovanna Mezzogiorno la Coppa Volpi all’ultimo Festival di Venezia, allora avremmo sinceramente preferito veder premiata Margherita Buy per quest’ultimo film di Roberto Faenza. Purtroppo questo non è avvenuto, sopratuttto per il fatto che “I giorni dell’abbandono” non è un’opera che meriti qualsiasi tipo di riconoscimento, specialmente in una rassegna di cinema internazionale; c’è anche da testimoniare che la nostra miglior attrice non offre di certo la migliore interpretazione della sua carriera, ma questo è soprattutto dovuto alla sofferenza di recitare un personaggio mal delineato, che nella parte centrale della pellicola si dibatte in maniera insensata, senza un vero e proprio sviluppo narrativo che ne spieghi psicologia ed azioni. Per il resto, la Buy ci mette tutto il carisma e le notevoli doti attoriali che ha acquisito in tutti questi anni, ma più di tanto non riesce a sistemare un film sconclusionato e confuso; l’estrema caratterizzazione nevrotica del ruolo di Olga, a lei congeniale, le consente di dare sfoggio delle sue naturali doti istrioniche, salvo poi non supportarla attraverso un percorso interiore che ne giustifichi tale comportamento: il personaggio rimane in questo modo del tutto sospeso, incapace di decidere il proprio destino ma solo di subirlo.     

Dovute le necessarie chiarificazioni su quella che consideriamo senza dubbio la miglior attrice del panorama italiano, passiamo ad analizzare più specificamente la pellicola, vera nota dolente; tratto dal romanzo di Elena Ferrante, “I giorni dell’abbandono” dopo un incipit accettabile si perde in una serie di scene e situazioni del tutto slegate tra loro, assolutamente non funzionali a far avanzare sia la vicenda che la progressione drammatica.

In questo limbo di logicità i personaggi si muovono spaesati ed un po’ vani – vedi il musicista innamorato interpretato da Goran Bregovic – fino ad arrivare ad una sorta di catarsi/presa di coscienza della protagonista che non si basa su alcuna consequenzialità logica.

Il difetto peggiore della realizzazione, soprattutto quindi della regia di Faenza, sta poi nel non aver saputo neppure dare un tono preciso all’impianto estetico del lungometraggio: alla base dell’operazione c’è sicuramente un melodramma familiare, che poi incredibilmente in alcune scene sbanda verso la commedia grottesca (probabilmente involontaria, ahinoi) o addirittura il giallo, come nella sequenza in cui l’intera famiglia rimane intrappolata dentro casa. Questa commistione di generi sembra purtroppo maggiormente dettata dal caso, o dall’incertezza, piuttosto che da un lucido gioco filmico con i generi.

In un’opera così malamente assemblata, difficile provare a salvare qualcosa: continuiamo così ad attaccarci all’ammirazione per Margherita Buy, sperando di vederla al più presto in ruoli più azzeccati. Nanni Moretti incombe…

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