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Hunter Killer - Caccia negli abissi, la nuova missione impossibile di Gerard Butler (recensione)

Sfida nel Mar Glaciale Artico, fantapolitica, il presidente russo da salvare e una pioggia di eccessi

Butler

09.11.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Duello trai i ghiacci. Superuomini duri, nati per lottare, si sfidano ai confini del mondo. Ancora una volta (è proprio il caso) un clima da nuova Guerra Fredda. Russi contro americani, come ai bei tempi. Il cinema esorcizza le paure della gente, che sente la politica enfatizzata dai media. Crea scenari apocalittici per divertire, per sperare che non si verifichino mai. Fantapolitica. Con colpi di Stato, squilibrati al comando, testate nucleari che rischiano di partire da un momento all’altro. A salvarci sono sempre gli eroi tutti di un pezzo, che non si fermano davanti al pericolo, semmai lo inseguono.

In Hunter Killer – Caccia negli abissi si combatte per terra e per mare. Un pugno di valorosi deve risolvere una crisi internazionale, mentre un sommergibile aspetta nelle profondità del Mar Glaciale Artico. Due fronti, due capitani coraggiosi. A capo del sottomarino c’è Gerard Butler, l’eterno Leonida di 300, il poliziotto al limite di Nella tana dei lupi, lo squilibrato di Giustizia privata. Anche qui mostra il suo spirito da macho, anche se per una volta non spara nemmeno un colpo e non si lancia in risse furibonde. La battaglia è tutta di nervi: deve mantenere il sangue freddo, guidare il suo equipaggio oltre l’incredibile.



Bombe di profondità, siluri, cacciatorpedinieri, vogliono fargli la pelle. Ma lui resta impassibile, ignora le regole dei politicanti, e si conferma eroe. Come in Geostorm, quando si calava nei panni di un’astronauta pronto ad abbracciare la causa ecologista. Forse non avrà più il fisico di un tempo, però lo sguardo da immortale non tramonta mai. Hunter Killer – Caccia negli abissi è un classico film d’azione travestito da war movie, che potrebbe essere figlio dell’immaginario costruito da Caccia a Ottobre Rosso.

Adrenalina alle stelle, decisioni che cambiano la Storia. Ma qui tutto è portato all’eccesso, enfatizzato, come se fossimo nel romanzo di un Tom Clancy sottotono. È l’opposto dell’anima antispettacolare di U-Boot 96, la storia vera dell’U-571, che raccontava il recupero della mitica macchina Enigma, durante la Seconda Guerra Mondiale.



A salvarsi è il messaggio di fratellanza, anche se a tratti fin troppo retorico. Bisogna essere uniti per superare le avversità, non importa il colore della bandiera. Russi, americani, alla fine tutti i popoli sono uguali: cercano di raggiungere il benessere, di superare le ingiustizie e mantenere l’equilibrio tra le nazioni. Sembra una favoletta, ma lo sguardo d’intesa tra il comandante russo e quello americano potrebbe fare concorrenza alla stretta di mano tra Schwarzenegger e Carl Weathers in Predator.

Curiosità: il presidente degli Stati Uniti è una donna (forse Hillary Clinton?), e il generale che risolve la situazione è di colore. Mentre quello che rischia di far esplodere la polveriera è un bianco, il grande Gary Oldman. Il politically correct è salvo.