Per parlare di “Elizabeth: the Golden Age” non possiamo non cominciare da Cate Blanchett, che del film è l’anima poderosa ed istrionica. E’ lecito affermare che si tratta della miglior attrice dell’odierno panorama cinematografico? La grandezza di questa straordinaria caratterista è che anche quando predilige un timbro più forzato ed istrionico, riesce comunque a mantenere una grande presa emotiva sullo spettatore, quando molti altri attor, anche di rango, danno l’impressione di strafare.
E' il caso di questa sua ultima, infuocata interpretazione, che la candida di diritto ad essere tra le favorite ai prossimi Oscar: se con il primo, artefatto “Elizabeth” (id., 1998) le aveva regalato la prima nomination della sua carriera, questo nuovo capitolo della storia della “Regina vergine” non dovrebbe farle sfuggire almeno la quarta segnalazione.
Detto della Blanchett, possiamo anche passare a commentare il film di Kapur, che costruito intorno a lei funziona non soltanto per questo, ma anche in virtù di una messa in scena che sceglie di non giocare di finezza, ma predilige la magniloquenza, ed in alcuni momenti si fa addirittura roboante. Certo, la grana della realizzazione è grossa, ed il regista adopera tutte le frecce al suo arco per costruire uno spettacolo a tratti eccessivo. Il fatto però è che proprio per questo la pellicola colpisce lo spettatore nel suo lato più emozionale,e lo coinvolge con uno spettacolo di impatto sicuro. Molto merito va anche attribuito alla sceneggiatura di William Nicholson e Michael Hirst, capace di equilibrare con furbizia i momenti di azione con fasi maggiormente introspettive riguardo il personaggio di Elizabeth. E poi ci sono componenti come la fotografia densa di Remi Adefarasin, le musiche e soprattutto il montaggio di Jill Billcock, che impreziosiscono il film in maniera decisiva: l’arte di saper dosare con perfetta sintonia il ritmo del film contribuisce ad immergere chi guarda nel mondo di una donna costretta suo malgrado a sacrificare se stessa al suo emblema.
E poi, non c’è soltanto la bravissima Blanchett, ma tutto un gruppo d’attori che danno il meglio delle loro possibilità: un Geoffrey Rush misurato come mai, Abbie Cornish intensa e sensuale, e la sorpresa Tom Hollander, il quale nello pochissime scene in cui compare ruba letteralmente la scena ad un’attrice di rango come Samantha Morton.
Lungometraggio fastoso come solo le grandi produzioni sano essere, “Elizabeth: the Golden Age” è un’opera molto più sanguigna e riuscita di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi. Shekhar Kapur ha allestito uno spettacolo visivamente sontuoso, che lavora sull’immaginario e sulle emozioni primarie. Si tratta di cinema forse non adatto ai palati più fini, ma certamente capace di scuotere il pubblico.
La Festa di Roma ha sicuramente guadagnato di lustro nell’aver presentato uno dei migliori lungometraggi in costume dell’ultimo periodo, perfettamente in linea con la migliore tradizione britannica.
NOTIZIE
God save queen Cate!
Lungometraggio fastoso come solo le grandi produzioni sano essere, "Elizabeth: the Golden Age" è un'opera molto più sanguigna e riuscita di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi.
19.10.2007 - Autore: Adriano Ercolani