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Ghost Theater - La recensione dal Tokyo Film Festival

Guarda al passato, il nuovo incubo del più celebre regista di J-Horror, e al futuro. Ma è il presente a lasciare qualche dubbio.

26.10.2015 - Autore: Mattia Pasquini (nexta), da Tokyo
Con Ghost Theater torna all'antico il buon vecchio Hideo Nakata, che da anni fatichiamo a veder distribuito nel nostro Paese. Nonostante anche il (passato) momento di grande fulgore vissuto ai tempi di Ringu e seguenti. Le radici di questo nuovo film, infatti, affondano ai tempi dell'esordio del 1996, nel Don't Look Up (Joyû-rei) con cui aveva già indagato nel mondo dello spettacolo e dei demoni che lo abitano.

Allora si parlava di cinema, stavolta siamo dietro le quinte di un teatro, durante la preparazione di una piece 'con qualcosa in più'. Qualcosa di troppo, evidentemente. Una bambola, oggetto di scena, che  vediamo protagonista di fatti di sangue e di ossessioni sin dal prologo del film. C'è una forte discontinuità tra le origini vaghe della maledizione, la volontà del regista di raccontare una variazione della 'Haunted House' e uno sviluppo che ha più a che fare con possessioni e spettri.



Una incongruenza che si nota, e lascia aperti interrogativi importanti, ma che non impedisce di godere dell'incedere del dramma soprannaturale. I demoni qui non sono solo quelli antichi e veicolati da una misteriosa bambola assassina, ma anche quelli delle attrici in balia di ego e ambizione. E ambiguità, come sembra emergere nella conclusione, per il brivido più persistente tra i vari proposti dal film.

Che per il resto conserva intoccate le più prevedibili assurdità di ogni horror del genere (disponibilità al martirio delle vittime, incapacità di reazione, poca credibilità delle situazioni necessarie a far procedere la vicenda, etc), e qualche citazione (da Dario Argento, come ci ha raccontato Nakata stesso, ma anche da altri classici internazionali). E la possibilità di continuare a sfruttare il tema (con una nuova trilogia?) grazie a una scena finale piuttosto inverosimile…

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