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Garpastum

In concorso a Venezia, un film parla di guerra, di sesso, di passione per il calcio. E della misera fine di queste emozioni con lo scoppio della rivoluzione bolscevica

garpastum

12.04.2007 - Autore: Giulia Villoresi
Lo studente che con due pistolettate diede inizio alla Primo Conflitto Mondiale è in marcia verso Sarajevo. Così inizia il film di Aleksej German Jr., Garpastum, traslitterazione russa del latino harpastum, ovvero antica palla da gioco.

Gavrilo Princip parte su un carretto scalcinato, nel frattempo a San Pietroburgo quattro ragazzi mettono su una squadra di calcio: due fratelli bellissimi, un ciccione e un orfano.

Sono male assortiti, a volte litigiosi, egoisti sul campo come nella vita ma sempre uniti dal sacro vincolo e dal sacro fuoco del pallone.

Così, mentre il mondo lancia i suoi ultimatum, loro decidono di comprare un terreno su cui costruire un campo da calcio, un vero campo con un vero arbitro con un vero fischietto cromato, su cui finlamente battere gli inglesi, arrogantissima razza di calciatori. Ma siamo nel 1914, e i sogni diventeranno tutti illusioni. 

Garpastum parla di guerra, di sesso, di fraternità. di passione per il calcio. E della misera fine di queste emozioni con lo scoppio della rivoluzione bolscevica.  Il regista German Jr., alle spalle una mezione speciale a Venezia 60, fa un film estetico, freddo come un diamante in vetrina.

Le atmosfere un po’ all’Anghelopoulos, maestose e bicromatiche, perse nella nebbia, i richiami epici e la recitazione riflessiva, non salvano il film dalla superficialità.

Nonostante l’idea del soggetto e il tema delle passioni, non c’è nulla che sia emozionante. In nessun modo, per quanto ci si sforzi, per quanto ci si abbandoni, si gravita sempre in una meravigliosa assenza di pulsioni.

In Garpastum c’è come un perenne desiderio di  versare lacrime che non viene mai soddisfatto. Si esce dal film con un senso di vuoto geometrico, di fiacchezza, di rabbia, che è una delle cose peggiori che possa fare il cinema.

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