Impossibile, d'altronde, non approfittare della Ville Lumiere per raccontare la figura di un artista come Léonard Tsuguharu Foujita, pittore nipponico naturalizzato francese attivo tra gli anni '20 e '50 e appartenente alla Scuola di Parigi? Una storia interessante, di un personaggio dalle mille influenze e derive, capace di integrare sulla tela tradizioni tanto lontane quanto le nazioni che lo hanno cresciuto.

Purtroppo è proprio il personaggio a venire meno, nella visione del film. Nascosto da troppi virtuosismi - registici, autoriali e attoriali - che rubano la scena alla vera essenza del soggetto principale. Del quale si intuisce la grandezza più 'per dovere', nella sua rottura artistica, di certo meno appariscente della rivoluzionaria e folle 'Età di Montparnasse' e della conclusione più 'restauratrice'.
Oguri (Grand Prix a Cannes nel 1990 per L'aculeo della morte e nominato all'Oscar come miglior film straniero per Il fiume di fango del 1981) si dedica a tableau a rischio ridicolo per il voler rappresentare l'eccesso di quegli anni, passando da cliché d'epoca a una conclusione fin troppo conciliatoria e narrativa. Uno stacco netto - e forse frettoloso - rispetto a un film fin troppo estetizzato, in costante oscillazione tra l'essere artefatto o ingenuo. E che non sembra in grado di assolvere alla missione prefissasi dallo stesso Foujita, di "essere ricordato".