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ENTROPY
ENTROPY

29.03.2001 - Autore: Fabrizio Marchetti
PROFILO CRITICO
Entropia, uno di quei termini difficili da mandare giù, una parola di complessa decifrazione semantica che rimanda allidea di una costante ma non appariscente tendenza al disordine.
Entropia, dunque, come sinonimo di caos, confusione, pronunciata irregolarità. Una prospettiva decisamente interessante e valida per denunciare un disagio generazionale come quello vissuto dal protagonista del film di Joanou. Ma se ottime sono le premesse della pellicola, piuttosto deboli le argomentazioni utilizzate per svilupparle ed elaborarle secondo un punto di vista critico e motivazionale. Sceneggiatura fiacca e poco brillante per uno script non allaltezza del progetto: fotografare una crisi esistenziale a partire dalle tappe professionali di unartista può essere una scelta efficace a livello cinematografico solo se le emozioni e le esperienze degli interpreti riescono ad essere condivise dallo spettatore ma tutto ciò è possibile solo attraverso una robusta scrittura filmica, proprio quella che sembra assente in Entropy. Non solo. Realizzare una pellicola seguendo un iter autobiografico può suscitare più di una perplessità allorquando il significato pregnante del prodotto non decolla mai oltre un tetto frastagliato di ricordi. Ecco allora che se si cerca una morale al di là dellinvolucro da videoclip, si capisce come un lavoro tutto forma (gli alterni ed anomici movimenti della mdp, le frequenti stop motions da narrazione musicale, i molti virtuosismi tecnici che rimandano alle tendenze modaiole degli anni Ottanta) e niente sostanza come quello di Joanou non può mai dar vita a buoni risultati.
Se lobiettivo dellautore voleva essere quello di recuperare liniziale vocazione di music filmaker (quella, per intenderci, che lo ha portato ad esordire con il documentario Rattle and Hum), è indiscutibile che il traguardo rincorso è stato pressoché centrato. Ma le ambizioni del regista sembrano suggerirci che il piano del discorso ed il senso dellintero progetto non potevano, né dovevano fermarsi ad un simile livello. Assolutamente fuori luogo alcune parentesi paradossali (ad esempio, il gatto domestico che dialoga con il padrone e gli dà buoni consigli) più confacenti al cinema visionario di un Gilliam ispirato piuttosto che alla maniera filmica di un Joanou in vena di esperimenti. Poco più che circostanziale la presenza della band degli U2. Una prova, insomma, opaca ed incolore per il regista del bellissimo Stato di grazia.