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"Djomeh"
"Djomeh"

27.07.2001 - Autore: Luca Perotti
Regia:Hassan Yektapan
Con:Jalil Nazari, Mahmoud Behraznia, Rashid Akbari
Distribuzione: Mikado
La trama
Djomeh è un giovane afgano emigrato in Iran dove lavora in una sperduta fattoria insieme al connazionale Habib di cui non condivide il modo di essere, eccessivamente riservato e conservatore. Ogni mattina Djomeh accompagna il proprietario della fattoria, il signor Mahmoud, nei villaggi della zona per ritirare il latte da rivendere.
In una di queste occasioni nota una ragazza del luogo, Setareh, che gestisce un negozio di alimentari e se ne innamora. Le rigide regole musulmane non permettono un corteggiamento aperto e palese e Djomeh si reca quotidianamente nel negozio acquistando abbondanti quanto inutili provviste solamente per poter scambiare due parole con la ragazza. Se da un lato ciò scatena il disappunto di Habib, dallaltro la genuina sfacciataggine del giovane suscita simpatia nel suo datore di lavoro al quale Djomeh, durante i quotidiani tragitti, racconta di se stesso e del suo paese di origine. Non riuscendo più a controllare i suoi sentimenti Djomeh chiede al signor Mahmoud di intercedere presso il padre di Setareh. Luomo, sebbene un po contrariato, accetta e per il giovane emigrato arriva finalmente il momento della verità.
Il commento
Linfluenza di Kiarostami, di cui Yektapan è stato aiuto-regista, risulta corposa e sottolineata in questo film, premiato con la Camera dOro al recente Festival di Cannes. Losservazione metodica della realtà mediante linsistito indugiare sui dettagli, la lentezza come cifra stilistica imprescindibile che si esprime in lunghi e statici piano-sequenza provengono dal bagaglio poetico del più famoso Abbas.
Djomeh si snoda lungo tre luoghi deputati: la sobria fattoria, il negozio di alimentari e il camion su cui il ragazzo e il suo capo viaggiano ogni giorno. Proprio il tragitto, sebbene breve, è il momento della confessione, dellapertura verso laltro che il ragazzo porta avanti per stabilire un rapporto con una persona adulta e appartenente ad unaltra tradizione. Habib, il guardiano della stalla, rimane invece fisso alla fattoria, evitando ogni possibile contatto con una cultura sconosciuta, la stessa che Djomeh sembra voler sfidare per combattere un sicuro destino di solitudine, di arretratezza non solo economica ma anche e soprattutto mentale. Larretratezza in cui sia Iran che Afganistan, della cui malandata situazione Djomeh è il narratore, sembrano immersi senza alcuna via duscita.
La fiducia riposta nel più malleabile signor Mahmoud, però, è destinata al più malinconico degli insuccessi e squarcia ulteriormente il vuoto e la povertà spirituale circostante. Djomeh fallisce nel suo tentativo di costruire la propria esistenza accanto ad una donna, il cui sguardo è assente, mai considerato, vilipeso da una mentalità claustrofobica di cui questo film è lennesima, accorata e probabilmente inutile denuncia.
Il senso di solitudine dei tre personaggi è differente ma la radice è comune; il conflitto sfiorisce in una palpabile incomunicabilità che si disperde tra gli aspri e dispersivi territori, abili ad ingoiare i sussurri e le grida di angoscia degli uomini. E i silenzi delle donne.