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Cattive acque, Mark Ruffalo guida una class action nel film di Todd Haynes (Recensione)

Un film di denuncia che purtroppo si muove sui binari del già visto

Cattive acque

20.02.2020 - Autore: Marco Triolo
Il cinema di denuncia statunitense è legato a doppio filo alla concezione che gli americani hanno della loro nazione. La dottrina del Sogno Americano, la filosofia del self-made man, del singolo che ascende a posizioni di potere a partire da una di svantaggio, si sposa con il liberismo capitalista che dà carburante a una delle assolute potenze mondiali. Uno stile di vita che può portare a enormi successi, ma che può anche generare mostri. Lo abbiamo imparato a nostre spese: il mercato non si regola da solo e l'Uomo, messo di fronte alla prospettiva del guadagno, non conosce limiti morali.
 
Cattive acque, il nuovo film di Todd Haynes, si muove in queste coordinate con il passo del mestiere. Il film è basato sulla vera storia di Rob Bilott (Mark Ruffalo), avvocato che, sin dalla fine degli anni '90, si è impegnato in una battaglia legale contro la multinazionale DuPont, responsabile di aver inquinato le acque di Parkersburg, West Virginia con gli scarti della produzione del Teflon. Il percorso di Bilott da difensore delle industrie chimiche a paladino contro i crimini delle stesse è costruito secondo uno schema ben collaudato, anche se Ruffalo infonde al tutto la sua recitazione onesta e contenuta che aiuta a mandare giù le parti già viste.

 
Perché il problema del film è proprio questo. Da Todd Haynes, regista di Lontano dal paradiso e Carol, ci si aspetta uno sguardo più attento, meno piegato alle logiche del genere. Anche qui non manca l'attenzione particolare alla sfera umana e ai legami tra gli individui tipica dei suoi film. Ma il tutto ricade negli schematismi a cui questo tipo di film ci ha abituati. Haynes non riesce mai a far sentire la sua voce personale, a presentarci reazioni più oneste alla crociata di Bilott.
 
Non si esce, insomma, da un generico “Questo caso è diventato per te un'ossessione e hai finito per trascurare la tua famiglia”. A farsi portavoce di questo messaggio è il personaggio della moglie di Bilott, Sarah, interpretato da Anne Hathaway. A un certo punto, Sarah dice al capo di Rob (Tim Robbins): “Non trattarmi come la moglie”. Eppure il suo personaggio finisce per essere esattamente questo: niente più che una funzione narrativa, messa lì per contestare, al momento giusto, l'ossessione di suo marito. Salvo supportarla pienamente nella scena dopo.

 
Cattive acque cammina sul filo del rasoio tra understatement intenzionale e pilota automatico. A volte scade nel sentimentalismo e nella retorica, che sono tali anche se li si pronuncia a voce bassa. Indubbiamente l'intenzione è quella di non strafare, di non concedere allo spettatore una catarsi completa, per dare invece spazio alle complessità e alle frustrazioni del reale. Intenzioni encomiabili che mal si sposano con la natura rassicurante e diligente di un film che fa di tutto per non stupire, che nasce con il preciso intento di essere solida maniera, indirizzata sui binari rigidi di un genere che funziona. Perché mai tradirlo?

Cattive acque è distribuito in Italia da Eagle Pictures.