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Buon compleanno Easy Rider! I cinquant'anni del manifesto della New Hollywood

Peter Fonda e Dennis Hopper in un on the road indipendente che ha incarnato lo spirito di una generazione

Dennis Hopper

11.07.2019 - Autore: Gian Luca Pisacane
Born to be Wild risuona a tutto volume mentre i due protagonisti superano il Colorado River. Il motore dei chopper urla, i motociclisti si aggrappano ai lunghi “manubri” delle loro moto. Non è un caso che Peter Fonda in Easy Rider si faccia chiamare Capitan America: sul suo casco da centauro ci sono le stelle della bandiera USA, come anche sul suo “cavallo d’acciaio”. Era il 1969, gli States e il mondo stavano cambiando. Il film diretto da Dennis Hopper - uscito negli USA il 14 luglio 1969 - porta quella voglia di ribellione sulla strada, esalta l’unione con la natura, segna una crepa insanabile con il cinema classico.

Sorge la New Hollywood, quella di Martin Scorsese, Brian De Palma, Robert Altman, Steven Spielberg, George Lucas… E nasce dalle route polverose della provincia, dal tramonto sul Grand Canyon, dalla storia di due cowboy moderni. La rottura con il passato non poteva che avvenire attraverso il genere fondativo della cultura d’oltreoceano: il western. Torna il mito della frontiera, il viaggio come ricerca di se stessi, l’amicizia virile, il duello con una società retrograda che deve ancora riconoscere il progresso.



Così i due “eroi” si trovano a essere vittime di un universo ancora troppo statico. È come se fossero pellerossa strappati alla loro terra, perseguitati, bastonati nella notte, ammazzati quasi per gioco. Kerouac incontra Ford, Hawks, per poi andare oltre. Gli hippies, il rock, la colonna sonora con Steppenwolf, Bob Dylan, Robbie Robertson, Jimi Hendrix. Modelli che richiamano i film di Roger Corman, in un low budget senza regole. Scene che si alternano, montaggi “surreali”, la droga stessa che viene analizzata sotto tre punti di vista diversi.

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La cocaina la incontriamo all’inizio, e rappresenta l’industria, il capitalismo, la necessità di far soldi. La marijuana ha invece una funzione conviviale, rafforza i rapporti, unisce nella notte attorno al fuoco. L’incubo appartiene all’LSD, con le sue allucinazioni, il terrore, la paura di non riuscire ad affrontare il presente. Peter Fonda ripete più volte: “Mamma, perché mi hai abbandonato?”. E in effetti la madre era morta quando lui era ancora giovane. Realtà e finzione si mescolano. Fino allo scontro finale, all’esplosione della violenza, con lo stile di Peckinpah che si affaccia all’orizzonte.

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Easy Rider e Il Mucchio selvaggio condividono l’anno di uscita nelle sale, e insieme festeggiano mezzo secolo. Ma mentre Il mucchio selvaggio resta ancora oggi un’opera da studiare, da dissezionare per poi ricomporre, Easy Rider ha saputo andare oltre il suo reale valore cinematografico. Nella storia del cinema pochi film hanno incarnato lo spirito del tempo con tale forza, mettendo l’arte in secondo piano.

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Easy Rider è un manifesto, una summa di idee sull’evoluzione dell’Occidente. Condensa in poco più di novanta minuti l’immaginario di un’intera generazione. Con un Jack Nicholson in stato di grazia, lanciatissimo verso il successo. Prima di questa esperienza voleva passare dietro la macchina da presa, dopo ha deciso di continuare come attore. Curiosità: il soggetto di Easy Rider si ispira a Il sorpasso di Dino Risi, conosciuto negli Stati Uniti come The Easy Life.