NOTIZIE

Bubble

Soderbergh porta a Venezia un film con un cast di attori non professionisti.

bubble

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
BUBBLE

Id., Usa, 2005.

Di Steven Soderbergh; con Debbie Doebereiner, Omar Cowan, Dustin Ashley, Misty Wilkins, Decker Moody.

In un ambiente “chiuso” come una minuscola comunità, retta a livello economico solamente da una modesta fabbrica di bambole, anche l’arrivo di una ragazza un po’ troppo furba può sconvolgere gli equilibri di chi si è ormai fossilizzato in una vita ripetitiva e monotona. Lo sanno bene i protagonisti di “Bubble”, che all’improvviso si ritrovano addosso il cadavere della giovane. Ma chi è l’assassino, e soprattutto perché ha commesso un tale crimine?

Nonostante si conosca ormai precisamente la sua politica autoriale e la sua idea di libertà cinematografica, Steven Soderbergh ogni tanto continua  a stupire pubblico  e critica; il suo passare da super-produzioni hollywoodiane a pellicole del tutto indipendenti ha definitivamente caratterizzato la sua carriera di cineasta polivalente ed a dire il vero un po’ narcisista. Questo piccolo e singolare non-giallo intitolato “Bubble” conferma in pieno la tendenza del suo autore, reduce dal mega-cast ed il successo al botteghino del lussureggiante “Ocean’s Twelve” (id., 2004). Storia di una provincia americana desolata e impoverita, la pellicola è interpretata interamente da attori pressoché sconosciuti, che però non negano alla valenza del prodotto il loro sincero apporto. Quello che spiazza ed affascina maggiormente del film è però il cambiamento radicale nella regia di Soderbergh, capace di passare dal virtuosismo patinato che ormai gli è congeniale ed una sorta di asciuttezza documentaria di assoluta efficacia; e’ come se il cineasta fosse riuscito a rinchiudere i personaggi messi in scena in una sorta di scatola asettica, in un vuoto estetico che si presta perfettamente ad esaltare lo stesso vuoto concettuale ed ipocrita che invade l’ambiente filmato. “Bubble” si presta ad essere interpretato come un’opera “povera” che vuole raccontare gente “povera”, e sotto questo punto di vista la coerenza tra materia trattata e forma prescelta per trattarla è evidente. Nel film non vi sono cambi di ritmo propri di una produzione “mainstream”, non c’è una macro-storia a sorreggere ed indirizzare la sceneggiatura, non vi è un’idea di cinema volta ad impreziosire l’estetica del prodotto. Eppure “Bubble” è un bel lungometraggio, asciutto senza mai travalicare il limite pericoloso della stilizzazione. Soderbergh continua a voler giocare sul filo del rasoio con opere del tutto spiazzanti tra loro: in passato ha fallito – vedi il pessimo “Full Frontal” (id., 2001) - , con questo film ha invece confermato la sua vena iconoclasta e spesso attenta ad un’indagine non superficiale della società americana.    

 

FILM E PERSONE